Le chant du rossignol (Balletto in un atto) – Musica: Igor Stravinskij – Coreografia: Lorca Massine (da un progetto incompiuto di Sergej Diaghilev e Leonide Massine) – Scene e costumi: Fortunato Depero – Interpreti principali: Alessandra Amato, Annalisa Cianci, Roberta Paparella, Giovanna Pisani, Marianna Suriano, Manuel Paruccini, Giuseppe Depalo, Antonello Mastrangelo, Emanuele Mulè
Carmina Burana (Opera teatrale su testi medievali) – Musica: Carl Orff – Creazione: Micha van Hoecke – Scene: Emanuel Ungaro e Carlo Savi – Costumi: Emanuel Ungaro – Danzatori: Gaia Straccamore, Alessandra Amato, Manuel Paruccini, Alessio Rezza – Solisti: Soprano Kathleen Kim, Controtenore Filippo Mineccia, Baritono Jonathan McGovern
Direttore: David Coleman – Maestro del Coro: Roberto Gabbiani – Luci: Vinicio Cheli
Teatro dell’Opera di Roma, dal 14 al 20 febbraio 2015
Abbinamento insolito quello portato in scena al Teatro dell’Opera di Roma: “Le chant du Rossignol” di Igor Stravinskij e i “Carmina Burana” di Carl Orff. Il primo, balletto ispirato alla fiaba di Hans Christian Andersen in cui si racconta di un imperatore deliziato dal canto del suo usignolo al quale però gliene preferisce un altro meccanico ricevuto in dono. Fino al tragico epilogo dove l’imperatore, malato gravemente e con l’usignolo meccanico fuori uso, vede entrare nuovamente in scena quello vero che con il suo canto melodioso riesce a strapparlo alla morte. Il secondo, lavoro complesso che unisce danza, canto e musica, dedicato all’amore inteso come eros e ai piaceri terreni in generale, composto sulla base di canti medievali e considerato il capolavoro dell’autore più prossimo ai fasti del nazionalsocialismo. La comunanza tra le due rappresentazioni forse è proprio da ricercare nel periodo storico in quanto entrambe appartenti alla prima metà del secolo scorso. “Le chant du Rossignol” fu musicato da Stravinskij a partire dal 1909 per guingere, dopo diverse partiture e l’incontro con l’impresario dei Ballets Russes Diaghlev e il coreografo Massine, alla versione a tutt’oggi rappresentata. Alle personalità già citate va aggiunta quella del talentuoso artista Fortunato Depero che firmò le scene e i costumi, su commissione dello stesso Diaghilev, dando vita ad un mondo di colori e di plasticità, propri della corrente futurista di cui Depero fu appunto uno dei massimi esponenti. Un esperimento che coniuga perfettamente musica e arte visiva e che a distanza di quasi un secolo riesce ancora ad entusiasmare il pubblico. Applausi (tanti), tempo di una pausa. Ancora col trionfo di colori negli occhi, in sala cala nuovamente la luce per dare il via alla seconda parte della rappresentazione, quella più attesa, rappresentata dai “Carmina Burana” di Carl Orff.
All’apertura del sipario è già pelle d’oca! Scenografia minimalista, un ballatoio che attraversa il palco ai lati del quale, su due gradinate speculari trova posto l’imponente coro, immobile e maestoso. Coristi vestiti interamente di bianco da colui che firma i costumi di questo spettacolo, lo stilista Emanuel Ungaro che dai palcoscenici dell’alta moda passa a cimentarsi con il palcoscenico per eccellenza, quello appunto del Teatro dell’Opera. Al centro della scena la dea Fortuna in uno splendido costume nero. A completare il colpo d’occhio un surreale cielo plumbeo e carico di nubi in movimento, proiettato sullo sfondo per tutta la durata della rappresentazione. Diretta dal maestro David Coleman parte la musica, all’unisono col coro, in quel crescendo di pathos e tensione che caratterizza appunto l’apertura dell’opera con il suo brano più famoso e sulle note del quale, oltra all’assolo della prima ballerina prendono via via posto sul palco tutti gli altri elementi del corpo di ballo (in totale 40) che si muovono sulle coreografie di Micha Van Hoecke, e ai quali cui si uniranno in seguito anche il coro delle voci Bianche e gli straordinari solisti (la mezzosoprano Kathleen Kim, il controtenore Filippo Meniccia e il baritono Jonathan Mc Govern). All’etoile Gaia Straccamore è affidato il ruolo di Flora, interpretazione leggiadra ed espressiva che fa da contraltare alle atmosfere contrastanti, ben più cupe e pesanti, introdotte nella prima parte dalla figura di Fortuna. I costumi di Ungaro formano un tutt’uno con i fisici scolpiti e statuari dei ballerini, mettendone in risalto la muscolatura e le linee, ma in maniera assolutamente armonica e mai esagerata. La stessa armonia che troviamo nell’insieme di tutti i protagonisti, in un contesto così ricco e vario ma perfettamente amalgamato. Gli stessi cantanti lirci interagiscono con la scena e i danzatori in maniera fisica e non solo vocale. È un’interpretazione che in effetti enfatizza i contenuti dell’opera con una rappresentazione altamente simbolica, di grande impatto scenico, avvalendosi di tutte le chiavi di lettura a disposizione, e dando vita così ad un meraviglioso affresco che il pubblico mostra di apprezzare con applausi a scena aperta e con il lunghissimo e meritato omaggio finale.
Claudia Giacinti
(foto dal sito del Teatro dell’Opera di Roma)