“Old Times – Vecchi Tempi”, di Harold Pinter, per la regia di Michael Rodgers. Traduzione di Alessandra Serra.
Roma, Teatro dei Conciatori. Fino al 14 maggio 2017
“Il passato è ciò che tu ricordi, che immagini di ricordare, che ti convinci di ricordare, oppure fingi di ricordare”. Questo sosteneva, tanti anni fa, Harold Pinter grande drammaturgo inglese (Londra 1930 – 2008) scrittore tra i più complessi e originali della sua generazione. La memoria, l’uso falsato dei ricordi, l’ambiguità, l’incomunicabilità tra i personaggi sono alcuni dei fili sottili che intrecciano, ma non dipanano, il passato e le vicende dei tre protagonisti della pièce Vecchi Tempi. La storia, ambientata negli anni ‘70 è apparentemente semplice, sembra non succedere nulla, ma in realtà non è così. Chi l’ha scritta è Harold Pinter, il maestro del non-detto, del silenzio, dell’ambivalenza di ogni possibile interpretazione della definizione e soprattutto dell’uso magistrale e spesso minaccioso delle parole. Inghilterra, interno di una casa colonica bianca vicino al mare, una coppia di quarantenni benestanti, sposata da 20 anni, Kate e Deeley, attende la visita di una vecchia amica della moglie. Anna, questo è il nome dell’ospite attesa, è la compagna con la quale Kate ha condiviso, piuttosto intimamente, un appartamento nella Londra effervescente degli anni Cinquanta. Tra nostalgiche rapsodie, le due donne ripercorrono, in un’atmosfera quasi onirica, episodi legati alla loro giovinezza come andare ai concerti, a mostre d’arte o più semplicemente ascoltando, nei caffè artistici, note dei dischi di Gershwin e Kern. Tutto apparentemente innocente, ma non per Deeley, che in un crescendo emozionale, passa prima dalla curiosità verso questa intrusa seducente e vivace, poi ad un dichiarato timore perché la ritiene una minaccia al proprio lineare rapporto matrimoniale. Anna cerca in tutti i modi di catturare l’attenzione di Kate per tenerla ancorata alla sua immagine del passato. Deeley ha paura, cerca di insinuarsi tra le due donne, di imporre la propria presenza ma è una guerra persa, lo scontro con Anna diventa inevitabile. Ogni domanda, da parte dell’uomo, diventa un tentativo di controllo e ogni risposta un’evasione rapida da essa. In realtà, come spesso accade in Pinter, non sapremo mai se Anna è davvero ospite in casa di Deeley e Kate, o sia piuttosto una proiezione delle fantasie della coppia o se addirittura Anna e Kate non rappresentino in realtà due facce diverse di una stessa donna. Chi dice la verità? Chi mente a chi? E’ tutto un sogno? Pinter è tutto questo, non ci lascia mai indifferenti, non ci lascia mai al di fuori delle sue opere e come se ci invitasse a farci delle domande, tramite i suoi personaggi, sulle questioni non risolte della nostra vita. Quello che colpisce di più è senz’altro la sensibilità con cui l’autore riesce ad indagare l’animo umano e l’attualità dei temi che affronta nella sua drammaturgia. E’ pur vero che sono passati più di quarant’anni dalla stesura di questa commedia, la società è cambiata, anche, per certi versi la condizione della donna, all’epoca non c’era ancora il divorzio, ma l’incapacità di comunicare, l’amore che si trasforma e deforma in altro, sono temi universali. Il ritmo dello spettacolo è incalzante, intenso, gli attori bravissimi a partire da Christine Reinhold, la dolcissima Kate, Lisa Vampa, l’intrigante Anna e il convincete, soprattutto sul piano vocale, Marco S. Bellocchio (Deeley). Perfetta la regia di Michael Rodgers, attore e regista scozzese, formatosi nella scuola di Larry Moss a Los Angeles. Scenografia calda ed essenziale di Mauro Radaelli, costumi Verde Lilla e Maurizio Baldassarri.
recensione di Angelica Bianco
foto di Fabio Rizzo