Roma, Auditorium Parco della Musica, Sala Petrassi, 10 e 11 gennaio 2012
Tre artisti d’eccezione per un progetto originale presentato all’Auditorium di Roma in prima assoluta. “Nineteen Mantras” è il prodotto di una collaborazione tra il regista teatrale Giorgio Barberio Corsetti, il musicista Riccardo Nova e la coreografa Shantala Shivalingappa.
Lo spettacolo vola alto, ed è il risultato della fusione fra i diversi modi di intendere l’India e il rapporto personale con essa, dei tre artisti.
Giorgio Barberio Corsetti ha avuto il suo primo confronto con la cultura indiana nel 1997 con “Il risveglio”. Appunti per una mitologia contemporanea”, e ritorna ad essa con “Nineteen Mantras” di cui oltre alla regia cura anche la drammaturgia insieme a Riccardo Nova.
Lo spettacolo è una sequenza di quadri che raccontano storie e miti del complesso politeismo indiano, ma nonostante gli intrecci di tale racconti risultino spesso a noi occidentali confusi e lontani, la narrazione si svolge con grande scioltezza, affidata a diversi danzatori e due acrobati e soprattutto arricchita da trovate sceniche veramente di grande effetto. Le immagini come quella del fuoco o di cavalli al galoppo, che prendono vita attraverso il movimento dei danzatori-attori, sono una soluzione narrativa e visiva di grande efficacia così come le scenografie sono sempre funzionali al movimento dell’azione scenica.
La musica costituisce più ancora delle immagini, il cuore dello spettacolo. Riccardo Nova, il cui rapporto con l’India risale a venti anni or sono quando studiò a lungo la musica carnatica che caratterizza l’India del sud, parte dai mantra e dal loro modo di salmodiare, per creare sonorità che si integrino con quelle tradizionali. In scena stanno i musicisti: da un lato quelli del Parco della Musica Contemporanea Ensemble (un oboe, un clarinetto e un violoncello), e dall’altro i musicisti indiani (voce, violino, mridangam, kanjira e percussioni). Passati i primi cinque minuti in cui lo spettatore può avere la tentazione di essere infastidito dall’uso stonato dei nostri strumenti occidentali, la nuvola sonora che invece si materializza subito dopo ti pervade e ti sostiene nel lungo viaggio attraverso il terzo libro del Veda, ascoltando i suoi mantra sovrani dello spettacolo che vengono offerti al pubblico con il dovuto rispetto della prosodia sanscrita.
La parte meno brillante dell’insieme è senza dubbio la coreografia, nulla di inaccettabile, ma da una coreografa che ha avuto l’onore e la fortuna di lavorare con mostri sacri dello spettacolo e della danza come Peter Brook, Maurice Béjart, e Pina Bausch, ci si aspetta qualcosa di più memorabile. La parte del movimento invece scivola via senza infamia e senza lode, e viene da chiedersi se un uso un po’ più riconducibile alla danza tradizionale indiana non avrebbe giovato allo spettacolo tanto più che Shantala Shivalingappa è una delle maggiori ambasciatrici nel mondo di Kuchipudi: classica danza indiana dalla tradizione millenaria.
Un applauso particolare invece va al costumista Francesco Esposito, la foggia e i colori dei suoi vestiti sono semplicemente meravigliosi e di vaga ispirazione fine anni quaranta primi cinquanta che dà un tocco di neorealismo alle storie vediche. Certamente gli dei dell’antica India non vestivano così, ma l’idea è divertente nel suo completo non collegamento.
Recensione di Claudia Pignocchi