Teatro Orologio, Roma, 7-18 gennaio; Morlupo, 22 febbraio
Eccomi qui ad ascoltare uno dei monologhi cardine, struggenti del “Don Giovanni” di Molière, quello in cui Donna Elvira chiede al suo amato Don Giovanni di pentirsi per la sua vita dissoluta onde evitare la morte, quando all’improvviso arriva … il convitato di pietra? No, la sigla del TG5!
Ed inizia una girandola di scene che esulano dall’opera di Molière, di cui restano solo i personaggi, e che invece sono più simili a ciò che vediamo oggi in un certo tipo di televisione (quella di qualità più bassa, ammesso che ce ne sia una alta). Ma non solo. I personaggi non sono solo quelli del Don Giovanni, ma anche gli attori stessi, ed anche gli spettatori, visibilmente non attratti dallo spettacolo (nella finzione ovviamente).
Sì, mi rendo conto che così non si capisce molto a cosa assista uno spettatore del “Molière immaginario”, progetto teatrale di e con Ivan Bellavista, Sandra Conti e Matteo Di Girolamo. Ma è giusto così. Lo spettacolo va goduto, con tutta la sua apparente irrazionalità e la sua assoluta mancanza di ogni unità aristotelica, e qualche minima anticipazione rischierebbe di non fare apprezzare appieno un prodotto che funziona benissimo.
A tirare le redini della compagnia è Ivan Bellavista, a noi già noto in quanto presenza fissa dal 2008 negli spettacoli di Antonio Rezza e Flavia Mastrella (“Fotofinish”, “Bahamut”, “7 14 21 28”, “Fratto_X”). Come tradizione del teatro rezza-mastrelliano, l’assistente di scena non proferisce parola ma è un corpo che si muove. Solo in “Fratto_X” Ivan inizia a muovere le labbra (parlando con la voce di Antonio), ma già questo basta per notare le sue notevoli capacità interpretative. Nell’intervista a noi concessa lo scorso anno Ivan ci fece capire di essere anche altro. Difatti già aveva interpretato il “Gastone” di Petrolini, ma è con il “Molière immaginario” che esce un lato davvero inedito di Ivan. Un attore (e sceneggiatore) capace di fondere classico e cabaret, azione e parola, che fa dell’autoironia l’arma vincente, accentuata anche dalla sua napoletanità che per la prima volta Ivan porta in scena.
Il discorso si estende agli altri due attori e sceneggiatori della compagnia, Sandra Conti, attrice già esperta (come ironicamente si sottolinea durante lo spettacolo), ora amante affranta ora pseudo-diva civetta, ed il giovanissimo Matteo Di Girolamo, ora apprendista attore volenteroso ora irritante showman.
Dopo l’ultima rappresentazione del “Molière immaginario” al Teatro Orologio di Roma (lo spettacolo sarà replicato a Morlupo il 22 febbraio) abbiamo posto ad Ivan qualche domanda.
Perché proprio Molière?
È stata una scelta istintiva da parte di tutta la compagnia. L’idea è nata mentre prendevo un caffè con il regista della prima versione dello spettacolo. Volevo uno spettacolo che andasse contro gli schemi convenzionali del teatro classico. E quindi da questo punto di vista Molière rappresenta un ottimo pretesto: un personaggio fantastico, che è andato oltre le convenzioni sia nella vita che nella sua opera (tant’è che è stato censurato più volte).
Tuttavia la prima versione dello spettacolo, messa in scena una volta ad Anzio e nella quale venivano mescolate diverse opere di Molière, era molto classicheggiante e non ha soddisfatto pienamente. Non ha soddisfatto il pubblico, che non ha reagito come avrei voluto, ma soprattutto non ha soddisfatto me. Gli abiti di scena mi pesavano, e non mi sentivo a mio agio in scena.
Così, dopo una prima prova, con Sandra e Matteo decidemmo di cambiare tutto e di mettere in piedi un progetto con il quale si sarebbe fatto teatro, portando in scena il teatro stesso, ovvero una rappresentazione che parlasse anche del nostro lavoro, di noi stessi. E questa è la versione che sta andando in scena e che ha avuto successo.
Una versione in cui manca la scenografia. Come mai questa scelta?
Beh, se deve essere “Molière immaginario” che sia immaginaria anche la scenografia. Abbiamo deciso di puntare sugli attori. Anche se questo ha richiesto un maggior impegno fisico. Penso alla scena in cui mi siedo su una sedia che non c’è (idea di Sandra), in cui faccio un maggiore sforzo recitando in bilico.
Nel tuo spettacolo ho notato un po’ di richiami ad altri attori. Il tuo modo di proferire battute sembra ispirarsi a Totò, gli attori che fanno da spettatori richiamano un po’ Aldo, Giovanni e Giacomo. Senza contare che emerge anche l’assenza di trama tipica degli spettacoli di Antonio Rezza e Flavia Mastrella, a cui tu hai preso parte. C’è qualcuno a cui ti ispiri particolarmente?
A dire il vero non lo so. Di sicuro porto in scena quello che ho vissuto, e io da bambino ho mangiato pane e Totò, pane e Troisi, pane e Scarpetta (sebbene questa possa sembrare una battuta), ed evidentemente questo retaggio me lo porto dietro.
Così come l’esperienza con Antonio e Flavia è stata importante, mi ha insegnato che non bisogna obbligatoriamente voler dire qualcosa, seguendo un filo logico o una storia.
So di sicuro cosa non voglio essere. E non voglio essere come molte rappresentazioni odierne, come quelle di cabaret, basate sul tormentone, o quelle che cercano a tutti i costi la denuncia sociale. Oggi c’è una totale mancanza di autoironia, non c’è più la leggerezza, il dialogo con il pubblico, la rappresentazione della quotidianità. Apprezzo molto di più il discorso da barbiere che l’ennesima apologia di Pasolini, sempre più frainteso. Preferisco un Pippo Franco ad un Pippo Delbono.
Cosa c’è nel tuo futuro? L’anno scorso ci parlasti di una web series…
Sì, il progetto comunque è spostato in avanti. Tra marzo e aprile partiranno le prove per il nuovo spettacolo di Antonio Rezza e Flavia Mastrella…
Dacci un’anticipazione. Parlerai?
E chi lo sa? Di sicuro ho accettato molto bene il fatto di non parlare, perché mi ha dato modo di imparare l’importante ruolo della fisicità nel teatro.
Ritornando al tuo futuro, progetti che nasceranno da te…
Quello che posso dirti di sicuro è che ciò che nascerà da me sarà il frutto di un dialogo con il pubblico, fondamentale per la mia attività.
recensione ed intervista di Andrea Longobardo
(oto di Massimiliano Longobardo