MISERABILI – Io e Margaret Thatcher, Marco Paolini con I Mercanti di Liquore
Testi di Andrea Bajani, Lorenzo Monguzzi, Marco Paolini, Michela Signori
Teatro Argentina, Roma – dal 6 al 18 gennaio
È in un Teatro Argentina tutto esaurito che va in scena MISERABILI – Io e Margaret Thatcher da dove Marco Paolini riprende il discorso iniziato con “gli Album” degli anni ottanta. Il suo alter ego Nicola è stavolta alle prese con la Lady di ferro, artefice di quella politica sociale che nascendo liberale si è rivelata poi “liberista” e che ha messo al centro della scena l’economia intesa come profitto a tutti i costi e la conseguente deriva della qualità della vita di noi miserabili, appunto.
Con uno stile che molto deve al teatro parlato di Dario Fo e ancor più forse al teatro canzone di Gaber, Paolini da vita ad una “ballata sociale” composta da monologhi che somigliano più a ragionamenti ad alta voce, intervallati dalle splendide canzoni dei Mercanti di Liquore, lo storico gruppo folk-rock lombardo, che ancora una volta ne firma la colonna sonora.
Paolini si diverte a giocare col pubblico come il gatto con il topo: provocatorio, irriverente, imbarazzante, già un quarto d’ora prima dell’inizio si presenta in platea, a luci accese, con la gente che non ha ancora preso posto e, girando tra le poltrone, comincia a dissertare parlando di carrelli della spesa e supermercato. Cosa è meglio scegliere, se lo yogurt con i pezzi o quello coi fermenti, l’invidioso scandaglio del contenuto del carrello del vicino… dall’analisi di queste nostre paranoie già ci introduce all’interno della questione. Infatti, con nonchalance, dopo un quarto d’ora di amabile chiacchierata passa dalla platea al palco, con la sensazione che non esista un vero e proprio incipit.
La scarna scenografia, una tavola imbandita come sfondo e null’altro, mette ancor più in risalto il personaggio che, in un susseguirsi di istrioniche personalità ci parla ora per bocca dell’operaio il quale sogna un utopistico riscatto sociale puntando sul futuro dei propri figli “…6 milioni di metalmeccanici sognano un figlio ingegnere capo… una media di due figli a testa… 12 milioni di ingegneri capo!!”; ora per bocca della figlia che pur avendo studiato è costretta ad arruolarsi soldato e partire “…un lavoro come un altro… e lo chiami lavoro? Non puoi nemmeno scioperare!!”; ora per bocca della donna in carriera, tante rinunce che riconducono al ragionamento su cui batte più volte il tasto “il tempo è denaro, ma il denaro non è tempo!” e la qualità della vita degrada pian piano.
Le considerazioni spaziano dal nostro microcosmo italiota allo scenario mondiale che da una parte vede la Thatcher, ma anche Ronald Reagan, come apripista di una deriva liberista, mentre dall’altra imputa alle chiusure dell’Ajatollah Komehini, tornato in Iran dopo aver pilotato la rivoluzione dalla Francia, la regressione integralista di tutto il mondo islamico e la partenza dei due mondi paralleli verso opposti traguardi. “…signora Thatcher, le piace come siamo diventati? È così che ci immaginava??” chiede un Paolini perplesso.
E così va avanti a ruota libera, lanciando strali e invettive, aprendo i cassetti dei ricordi, svegliando la coscienza dei presenti, tra sketch da avanspettacolo e picchi di alto teatro, in un susseguirsi di poesia, canzoni, considerazioni e bilanci, buttando tutto dentro alla rinfusa proprio come in un carrello della spesa.
Gli ottimi Mercanti di Liquore (Simone Sperafico, Piero Mucilli e la splendida voce di Lorenzo Monguzzi che firma pure i testi di questo spettacolo assieme a Paolini, Andrea Bajani e Michela Signori) offrono un notevole valore aggiunto con canzoni arrangiate sul tema delle ballate popolari, ma con testi che sono un vero e proprio pugno nello stomaco, come d’altronde è il loro stile.
Ne esce quindi uno spettacolo nello spettacolo dove alla fine anche il pubblico è chiamato a partecipare in veste di protagonista perché tutti, ma proprio tutti, con i nostri comportamenti di tacito assenso, ci sentiamo complici di questo stile di vita che il liberismo ci ha regalato, smantellando mattone dopo mattone, quella rete sociale che lo stato garantiva.
-Dopo due ore ininterrotte e un omaggio a Gaber con un accenno alla splendida “Libertà è partecipazione”, lo spettacolo prende congedo con un bis, autoevocato da Paolini stesso, sugli incidenti sul lavoro.
La mimica del corpo e la parlata veneta doc nel raccontare l’accaduto rendono la scena esilarante fino al momento in cui ci ricorda che “…se muori in fabbrica sei sfortunato ma anche un po’ mona, mentre se muori all’estero ti mettono il tricolore sulla bara e ti chiamano eroe!!”.
È l’ultima battuta al vetriolo prima di un epilogo unico: la splendida esecuzione dei Mercanti di Liquore de “La guerra di Piero”, da brivido!
Ma solo per questa sera, è l’11 gennaio (Fabrizio de Andrè, 18 febbraio 1940 – 11 gennaio 1999).
Recensione by Claudia
Complimenti Claudia. Scrivi proprio bene.
E sembra interessante anche il lavoro di questo Paolini.
Manca il passaggio decisivo forse, io credo che l’abbia capito George Clooney in Syriana: il problema della deriva fondamentalista dell’Islam non sta in Khomeini, ma nella CIA.
Bello il termine italioti, lo usa anche il mio amico giornalista.
Letto
Ri-complimenti
Grazie. D’altronde la bravura è degli interpreti. Quando lo spettacolo entusiasma… le parole escono da sole.