La merda. Di Cristian Ceresoli. Con Silvia Gallerano. 7 aprile 2016 – Roma, Auditorium Parco della Musica
Una figura nuda su un trespolo d’acciaio che sviscera, attraverso un flusso di coscienza, il proprio mal di vivere e quello di un paese intero. Un corpo inadeguato allo show business, quello di una piccola donna con le cosce grandi che come forma di riscatto sociale vede solamente la propria affermazione ad ogni costo, con ogni mezzo, pur di raggiungere il traguardo prefissato. Una resistenza quasi eroica al maschilismo becero e volgare, alle violenze pubbliche e private, all’inquietudine e allo smarrimento interiore, che per certi versi la vede accomunata ai fondatori della patria, anch’essi piccoli grandi uomini ai quali si sente vicina grazie agli insegnamenti dell’amato e fragile padre capace di compiere il coraggioso gesto di oltrepassare la linea gialla e lanciarsi, lasciando la vita sui binari di un treno in corsa. È questo il primo capitolo del “decalogo del disgusto” scritto da Cristian Ceresoli in contrapposizione alle celebrazioni per i 150 anni dell’unità d’Italia e che ha ottenuto importanti riconoscimenti all’estero, tra cui nel 2012 il primo premio al prestigioso Fringe festival di Edimburgo. La strepitosa quanto inquietante interpretazione di Silvia Gallerano, partendo in sordina da una sorta di smarrimento e inquietudine, si trasforma strada facendo in qualcosa di viscerale che sale fino a trasformarsi in nevrotica rabbia sconfinante nella follia. La nudità del fisico è nulla al confronto del modo in cui la protagonista riesce a mettere a nudo la propria anima. I vari personaggi che convivono in quel corpo solo all’apparenza fragile e minuto riempiono la scena fino a travolegere la platea con una tale onda d’urto che lascia provato lo spettatore. In un’ora scarsa di monologo. Il grande riscontro che questa rappresentazione ha avuto all’estero è indice di come certe dinamiche siano diventate evidentemente di interesse generale, e non più circoscritte alla realtà del nostro paese. Una società che fa i conti con il messaggio pasoliniano dell’omologazione massiva, frustrata e arresa di fronte alla barbarie dei modelli di riferimento che vengono assorbiti in pieno per essere riversati fuori sotto forma di escrementi e fagocitati di nuovo, in un ciclo continuo di riciclaggio perverso. Una psicoanalisi di gruppo, dolorosa quanto efficace, che ci fa prendere coscienza dell’orrore dentro il quale inconsapevolmente e anche colpevolmente siamo finiti. Un mare di merda, appunto.
Recensione di Claudia Giacinti.