Roma, Teatro Palladium dal 1 al 3 dicembre
Lo spettacolo fu avvincente e la suspense ci fu davvero…parafrasando De Andrè, che allo stesso tempo interpretava un pezzo di Brassens, si puo riassumere con queste poche parole uno spettacolo teatrale che riscrive e se possibile vuole modernizzare un opera del compianto Fabrizio.
Il tentativo della regista Roberta Lena sta proprio nel riportare le idee sviluppate in questo album in un ottica moderna senza però stravolgerne i contenuti.
L’inizio è coinvolgente con il coro dei sacerdoti che intona laudate dominum in una scenografia anche se scarna molto suggestiva grazie ai giochi di luce e a una patina di sipario che da quel tocco di antico al palco. Il coro si trova in piedi su una specie di balaustra che ricorda molto la scena dell’entrata di Gesù a Gerusalemme nella versione cinematografica di Jesus Christ Superstar anche nei vestiti e soprattutto nei cappelli.
Questo inizio austero precede i primi pezzi seguendo rigorosamente la sequenza delle canzoni dell’album e fra queste spicca il ritorno di Giuseppe cantato inizialmente in ebraico da una strepitosa Evelina Meghnagi supportata da un’orchestra che esegue alla perfezione tutti i brani con una varietà infinita di strumenti musicali, soprattutto della zona mediterranea, come nei vecchi concerti di De Andrè
La prima parte che narra dell’infanzia di Maria fino al concepimento di Gesù non regala molte altre emozioni, le canzoni vengono ben eseguite ma al di la della citata Meghnagi sinceramente non sono rimasto molto colpito dalle altre interpreti.
Dopo uno struggente intermezzo, Hor che è tempo di dormir, che comunque non appartiene all’ album essendo un’opera di Tarquinio Merola, inizia quella che ritengo la parte piu’ emozionante dello spettacolo. Maria nella bottega del falegname ci regala un duetto fra Maria e il falegname che sta piallando la croce sulla quale Gesù verrà crocifisso e in seguito un botta e risposta con il coro che passa , come nell’ originale, dal tono iniziale decisamente austero a un’atmosfera psichedelica e rivoluzionaria caratteristica di quegli anni. Al di là della suspense del falegname che brandisce con una certa maestria un ascia mentre accetta un vero tronco di legno, è proprio questo alternarsi di voci che ci trascina in un turbinio di emozioni che culmina con la crocifissione in Via della croce interpretata a sorpresa da Vinicio Capossela.
Le Tre Madri che piangono i loro figli, forse fra i pezzi più toccanti dell’intera opera, ci riporta in un atmosfera più intima e con una certa commozione grazie alla splendida interpretazione di Meghnagi che cantando la prima strofa in ebraico introduce poi al pubblico quella che sicuramente e’ la canzone più conosciuta , Il testamento di Tito. La prima parte della canzone viene letta in video da un ispirato Stefano Benni per lasciare spazio poi nella seconda parte alla voce e alla musica originale di Fabrizio De Andrè, con gli attori lasciati a mimare il testo.
Il finale è un’esplosione di emozioni con il coro a intonare laudate hominem che riassume tutto il concetto dell’opera e l’orchestra che fa risaltare nella migliore maniera possibile gli arrangiamenti ideati da De Andrè.
Lo spettacolo in conclusione è stato accattivante anche se con qualche riserva. Apprezzo il tentativo di portare in immagine la modernità delle parole di De Andrè, che al tempo fu aspramente criticato di aver pubblicato un album religioso, quando da lui ci si aspettava sempre e solo canzoni rivoluzionarie. De Andrè invece era consapevole di aver scritto un qualcosa di estremamente attuale parlando del più grande rivoluzionario mai esistito, che secondo lui non era altro che un uomo, ”figlio dell’uomo, fratello anche mio”.
Nell’opera teatrale il concetto è stato compreso e addirittura esteso, nelle immagini che apparivano sul telo dietro gli attori si parlava della violenza sulle donne sulle note de L’infanzia di Maria, quando fu costretta a seguire un volere superiore; barconi pieni di immigrati si alternavano, mentre l’immigrato Giuseppe ritorna in Giudea, la sofferenza delle madri delle vittime di guerra che calza perfettamente con il testo delle Tre Madri.
Se da questo punto è stato colto il segno, trovo un po’ superficiale e poco attinente al testo se non addirittura in contrapposizione allo stesso, l’idea di distruggere i simboli di tutte le religioni in un gioco di effetti speciali peraltro mal riuscito. La Buona novella ci insegna che la religione non è di per se il male e come tale non va distrutta, ma deve essere solo un mezzo per insegnare l’amore e il rispetto, non un pretesto per uccidere e soggiogare il prossimo.
Infine non mi ha convinto molto l’interpretazione della Caselli, l’ho trovata un po’ forzata e un po’ fuori dal contesto. Ottima l’orchestra e il coro anche se come già detto sono rimasto molto colpito dall’interpretazione calda e potente della bravissima Meghnagi, l’unica in grado di farmi emozionare veramente durante lo spettacolo.
Nel complesso consiglierei a tutti di andare a teatro e godersi comunque 75 minuti di spettacolo che in primis nasce dal genio e dalla creatività di Fabrizio De Andrè.
Recensione di Renato