Dionysus Il Dio nato due volte: da Le Baccanti di Euripide, Regia di Daniele Salvo, con Daniele Salvo, Manuela Kustermann, Paolo Bessegato, Paolo Lorimer, Ivan Alovisio, Simone Ciampi, Melania Giglio, e le Baccanti: Elena Aimone, Giulia Galiani, Annamaria Ghirardelli, Melania Giglio, Elena Polic Greco, Francesca Maria, Silvia Pietta, Alessandra Salamida.
Roma, teatro Vascello, dal 4 al 13 marzo 2016, successivamente in tournèe.
I tragici greci sono eterni, universali, attuali quanto mai, sono il fondamento della nostra civiltà, della nostra cultura. Le investigazioni dei moti dell’animo, del mistero della natura umana, di cui essi trattano restano valide oggi come duemilacinquecento anni fa: se Edipo Re o Antigone sono di evidenza interpretativa, alcune altre tragedie, ad una lettura moderna, risultano però più oscure, misteriose, criptiche.
E’ il caso de “Le Baccanti” di Euripide, splendidamente (e spettacolarmente) riproposto in questo “Dionysus, Il Dio nato due volte”, ultima regia di Daniele Salvo, già autore di splendide rappresentazioni del Mito greco nel teatro di Siracusa, come “Edipo re” di Sofocle, o “Aiace e Le Coefore/Eumenidi”, pervaso da uno spirito che rivendica un teatro affatto ludico, come impera oggi, ma profondamente civile, poetico, artistico.
Una lunga, inquietante, perturbante orgia tribale pervade questa rappresentazione insolita e fortemente emozionale. Le Baccanti vengono mirabilmente rappresentate come una finestra sull’irrazionale, sulla frenesia del corpo e l’estasi dell’anima, su un mondo antico dove la libertà espressiva è la norma, sulla possessione dionisiaca, devastante e creativa, che ci parla del rimosso, allora e per sempre, della nostra quotidianità. L’Antico come liberazione dei sensi, ove le donne, protagoniste dei rituali, vengono animate e dirette da Dioniso, in uno stato di trance, quasi fossero preda di un sonno perenne, dove l’ebbrezza porta sensualità, stordimento, morte, dove il dio, anche demone, le guida, in una danza sfrenata ed inquietante, fatta di lamenti, sospiri, e di sottintesa terribile, inebriante violenza.
Uno spettacolo di grande suggestione, che evoca ed interroga nel profondo l’esoterismo che pervade i rituali dionisiaci, ne assapora la pura essenza, dove le Baccanti sono descritte ed abbandonate alla vertigine, ed il dio dell’ebbrezza e dell’irrazionale esercita un forte magnetismo ipnotico, e dove esse comunicano attraverso una primordiale e scomposta vocalità che si unisce ad una fortissima emotività.
Il testo di Euripide viene sostanzialmente rispettato, e lo spettacolo, fortemente originale e coinvolgente, totalmente privo di intellettualismi, segue i canoni della sensazione percettiva contemporanea, nel senso visivo e sonoro, ma come in uno specchio psicoanalitico, contribuisce a penetrare nei meandri dell’inconscio, oltre i limiti del disturbante e del rimosso, generando nello spettatore un senso di arcano stupore.
La vicenda narra di Dioniso che, proveniente dall’Asia, arriva a Tebe per stravolgere le donne che hanno osato dubitare della sua origine divina, ed indurle a salire sul monte Citerone, al fine di divenire sue adepte e di celebrare i rituali in suo onore. Esse, ammaliate dal fascino del dio, cedono immediatamente, ed ad opporsi alla folle febbre rimane solamente Penteo, re di Tebe, che non vuole rinunciare alle sue capacità razionali.
Ma Dioniso scaglierà la sua maledizione sul re, che finirà selvaggiamente dilaniato dalle Baccanti sul monte, e la sua testa, scambiata nel delirio con quella di un leone, finirà infilata su di una picca dalla madre Agave inconsapevole, che il padre Cadmo porterà poi alla coscienza, mostrandole i resti del figlio smembrato, accostando ad esso la testa, riunendo le “disiecta membra”, e da allora per lei e per tutti la cupa tragedia non potrà avere redenzione alcuna.
Una teatralità primordiale, tragica, furente, essenziale, che crea uno spettacolo inquietante, oscuro, moderno e nel contempo antichissimo, fortemente ipnotico, che richiama la gestualità, i suoni, i colori del Teatro Greco Classico, la cui eleganza formale richiama la pittoricità sospesa tra sogno e realtà di Max Klinger e quella tetra, sepolcrale, allucinatoria di Arnold Bocklin, l’autore del celebre dipinto “l’Isola dei Morti”.
Un’opera importante, una celebrazione del Mistero, che possiede una forte intensità emozionale, che rappresenta la sempiterna, devastante lotta tra la Razionalità e le forze oscure dell’Irrazionale, ma che potrebbe essere letta anche come il rifiuto dell’Alterità e le sue devastanti conseguenze, che genera stupore e meraviglia e si sviluppa in un andamento simile ad una danza macabra, in un palcoscenico dal forte impatto visivo, caratterizzata da ottime interpretazioni di tutti gli attori: in particolare il regista stesso nei panni folli di Dioniso, che indossa una maschera dal sorriso immoto, e Manuela Kustermann, diva del teatro d’avanguardia italiano, in quelli terribili, devastanti della madre Agave.
L’opera è stata rappresentata in anteprima nazionale a Roma, dopodichè sarà in tour nella penisola.
Recensione di Dark Rider