Giu 302010
 

Cloud Gate Dance Theatre -“Songs of the Wanderers”
Tivoli, Villa Adriana, 22-23 giugno 2010

★★★★★

Il Festival Internazionale di Villa Adriana, prodotto dalla Fondazione Musica per Roma, ospita dal 15 giugno al 18 luglio una fitta serie di spettacoli di teatro, musica e danza provenienti da tutto il mondo. Dalla Cina e precisamente da Taiwan, è giunto l’originalissimo spettacolo “Songs of the Wanderers” del Maestro coreografo Lin Hwai-Min, fondatore della “Cloud Gate Dance Theatre“: prima compagnia di danza contemporanea in Cina, attiva dal 1973.
Nella splendida Villa dell’imperatore Adriano, la cui bellezza architettonica è manifesto della cultura occidentale, la danza, la religione e l’arte orientale si sono palesati sul finire di un crepuscolo mozzafiato. Il pubblico sin dai primi istanti è rimasto affascinato dall’originalità dell’intera opera rappresentata in Italia per la prima volta.
Il balletto racconta in chiave simbolica l’illuminazione di Buddha sulle rive del fiume Neranjra, e comunica l’amore e l’ammirazione che il coreografo prova per Lui e per l’aver condotto l’umanità sul cammino che conduce alla pace dell’anima.
In una scena piena di riso sparso in terra il Buddha in meditazione viene interpretato da un danzatore realmente impegnato in un esercizio di Chi Kung, che rimane fermo in piedi per più di un’ora; nel frattempo il corpo di ballo, attraverso varie coreografie, racconta un percorso che conduce dalle restrizioni e dalle miserie umane alla liberazione dal dolore e alla gioia più pura. In una parola all’Illuminazione.
Un racconto semplice dunque, estremamente leggibile e lineare che però trae la sua forza proprio dalla qualità del movimento dei corpi dei 24 danzatori, che si muovono in uno stato di assoluto collegamento alla loro energia. Non cercano di stupire con la loro performance, non cercano il consenso come ogni nostro artista fa. Essi si muovono quasi come farebbero in una forma di Tai Chi eseguita in solitudine. Tutto questo non li porta lontani dall’esibizione ma anzi ne sono pienamente dentro, e la loro coreografia risulta essere incredibilmente comunicativa.
Del resto tutto questo è possibile, oltre che per la bravura del coreografo, anche grazie al training al quale sono abituati. Essi infatti ogni giorno meditano e fanno esercizi di Chi Kung oltre alle ore di studio di balletto classico e contemporaneo, alla pratica di arti marziali e alle prove di calligrafia.
La danza che Lin Hwai-Min ci ha presentato è senza dubbio contemporanea, pur essendo generata dalla profonda conoscenza di un’antichissima forma di balletto rituale cinese – il Cloud Gate appunto – secondo la leggenda la più antica danza conosciuta in Cina, risalente a più di 5000 anni fa.
La musica è semplicemente meravigliosa, così aderente all’estetica del “Cloud Gate Dance Theatre”, da pensare che sia stata composta apposta per lo spettacolo. E invece no: è un’insieme di brani popolari georgiani che provocano con la sola voce cantilenante del cantante, una vibrazione che si propaga densa nell’aria, rimarcando il carattere trascendente dell’opera.
“Songs of the Wanderers” è quindi qualcosa di veramente eccezionale che però si scontra con i ritmi del nostro vivere quotidiano e della nostra idea di performance. I tempi teatrali della compagnia di Taiwan non sono sempre adatti ad un pubblico occidentale, per quanto coloro che hanno assistito allo spettacolo erano certamente iniziati ai temi del buddhismo e dello zen.
La fatica del pubblico a seguire la produzione di Lin Hwai-Min si è notata soprattutto nel finale dello spettacolo, dove un danzatore ha creato una gigantesca e perfetta spirale a terra, pettinando con un rastrello il riso sparso sul pavimento. Per fare questo ha impiegato circa 25 minuti in cui si è mosso in circolo sempre alla stessa velocità, rimanendo concentrato sulla sua opera in divenire, senza mai interrompere quel filo invisibile di energia che collegava lui alla sua creazione.
Ebbene chi del pubblico è riuscito a non cedere alla tentazione di andarsene, ha potuto assistere a qualcosa di veramente inconsueto per il nostro concetto di teatro. E quasi come a sciogliere una tensione empatica che si era creata con il danzatore, il pubblico gli ha regalato un’ovazione.
Uno spettacolo a metà tra un rituale sacro, un racconto epico e una performance contemporanea; veramente fantastico, basta lasciarsi andare e non avere fretta e ti regala emozioni che ti accompagnano nel tempo.

Recensione di Claudia Pignocchi

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