Sans objet
Roma, Teatro Vascello 30,1,2 ottobre
Il Romaeuropa festival prosegue presentando al teatro Vascello in Roma l’ultimo lavoro dell’artista francese Aurelien Bory intitolato “Sans objet” .
L’intento dell’opera è senza dubbio il desiderio di indagare la relazione che intercorre tra l’uomo e la macchina, spunto di riflessione che nel teatro e in particolare nella danza è stato nel tempo affrontato più e più volte. Si pensi a Coppelia o a Oskar Schlemmer al quale si è ispirato proprio lo stesso Bory nel creare la sua trilogia: “IJK” del 2000, “Plan B” del 2003 e “More or less infinity” del 2005.
“Sans objet” inizia con il presentare nella penombra dello spazio scenico una grande struttura semovente che, via via le splendide luci di Arno Veyrat si allargano su di essa, assume tratti vagamente antropomorfi. Con l’entrare delle due figure umane, i danzatori Olivier Alenda e Olivier Boyer, si svela il dubbio e la struttura si presenta per quello che è: un braccio meccanico. Da questo momento in poi tutta l’azione scenica verte sul movimento dei danzatori condizionato dai movimenti della macchina che duetta con loro grazie all’abilità del pilota Tristan Baudoin che a lato della scena in tuta da meccanico muove il grande robot con un telecomando.
Le idee sono tante non c’è che dire e l’eleganza dei danzatori/acrobati è sopraffina. C’è qualcosa che però appesantisce la performance e probabilmente questo qualcosa deve essere rintracciato nei tempi teatrali. Vale a dire che nonostante l’idea sia buona e l’esecuzione ottima, non c’è abbastanza materiale per tenere l’attenzione alta per 75 minuti. Probabilmente se fosse durato la metà tutte le soluzioni e le trovate sarebbero state più snelle e meno ripetitive e la performance nel suo complesso sarebbe stata più godibile. Perchè ciò che appare chiaramente è che Aurelien Bory ha ideato uno spettacolo per addetti ai lavori, per gente che si intende di danza, di circo, di nuovo teatro e quant’altro. Non parla a tutti e non è certamente a causa del tema trattato. E’ piuttosto una scelta stilistica di presentare un lavoro estremamente sofisticato e con numerosi rimandi intellettuali, ma in alcuni momenti sembra dimenticarsi della quarta parete quella cioè dove si trova lo spettatore.
La musica originale di Joël Abriac evoca le colonne sonore dei film di fantascienza degli ultimi trent’anni, ma è anche molto inerente a ciò che viene rappresentato e a tratti molto bella.
Nel suo complesso questo artista, che ha studiato filosofia, architettura e cinema prima di orientarsi verso il teatro, è molto interessante anche se forse un po’ troppo autoreferenziale. Il pubblico presente in sala ha comunque apprezzato questo non semplice spettacolo a metà tra installazione artistica e danza.
Recensione di Claudia Pignocchi