Roma, Auditorium Conciliazione 31 gennaio 2015 – Civitanova Marche, 17 febbraio 2015
L’Italia della crisi (e delle crisi) non risparmia neanche il mondo musicale. Ma ci sono delle eccezioni. Anche perché, come suggerisce il detto, “i vecchi amici non tradiscono mai”. E fortunatamente, il ritorno sulle scene degli Afterhours dopo le lacerazioni interne che hanno investito il gruppo nei mesi recenti, rifulge d’una bellezza scintillante ed energica, nell’ambito di una tournée che si snoda tra i teatri di mezza Italia, intitolata coerentemente Io so chi sono. Le uscite di scena di Giorgio Prette, storico batterista, e del chitarrista Giorgio Ciccarelli con relative polemiche potevano (a detta di alcuni), presagire all’epilogo della carriera della band, ma il carisma di Manuel Agnelli e la voglia di continuare la “lunghissima, lunghissima rincorsa” del gruppo milanese chiariscono che il progetto Afterhours ha affrontato l’ennesima prova di maturità uscendone, agli occhi di tutti, rinvigorito nonché corroborato dai risultati. Nelle due date prese in esame, precisamente all’Auditorium della Conciliazione di Roma ed al teatro Rossini di Civitanova Marche, la resa live dello spettacolo risulta in ambedue le occasioni coinvolgente ed esplosiva, ricca di pathos con scalette pressoché identiche dove il sold out della data romana fa pendant con l’intimismo della (egualmente affollata) tappa marchigiana, entrambe introdotte dall’arrivo di Manuel che piomba tra il pubblico in platea aprendo con Io so chi sono cantata a cappella. La prima parte dello show prevede una rilettura dell’ultimo periodo degli Afterhours, con i brani di Padania sugli scudi. La title-track, Terra di nessuno e Spreca una vita, avanti con Metamorfosi e La terra promessa si scioglie di colpo, oltre ad una Costruire per distruggere al solito da brividi, il tutto condito dai recuperi del vecchio repertorio After come Baby fiducia e Varanasi baby, ma anche gradite sorprese come I Milanesi ammazzano il sabato (in quel di Civitanova) estratta dall’omonimo lavoro del 2008. Ma le novità essenziali dell’“Io so chi sono tour” sono parecchie. Intanto, tra i brani c’è spazio per momenti di lettura che coinvolgono Manuel in reading di autori come Allen Ginsberg (Moloch) o Gramsci (Indifferenti), passando per Pessoa con sottofondi psichedelici audiovisivi (Xabier Iriondo ed i suoi effetti) integrati dalle proiezioni di Graziano Staino a puntellare la performance degli artitsti. La dimensione teatrale forse illude chi si aspettava un live acustico, le scariche elettriche degli Afterhours costringono il pubblico a godersi uno spettacolo marcatamente rock comodamente adagiato su poltrone di velluto che, mano a mano, diventano sempre più “strette”, e specialmente nella tappa romana gli spettatori non restano quasi mai in silenzio. Inoltre, i nuovi innesti alla batteria ed alla chitarra (e contrabbasso) rappresentati rispettivamente da Fabio Rondanini e Stefano Pilia si dimostrano perfettamente integrati nella line up della band, supportando assieme al trio D’Erasmo/Dell’Era/Iriondo un Manuel Agnelli straordinario che regala emozioni ad un pubblico estasiato che dimostra di aver dimenticato le recenti vicissitudini che sembravano aver minato la tenuta del complesso.
La seconda parte dello spettacolo si apre con gli After che irrompono al gran completo tra il pubblico in veste acustica intonando assieme ai fan Non è per sempre, vera e propria cartina di tornasole nonché spartiacque generazionale tra le varie anime incarnate nel corso degli anni dalla band. Altra componente fondamentale del tour, le emozionanti cover proposte per l’occasione, da Lilac Wine di Jeff Buckley solo piano e voce sino alla slide version di Place to be dell’amato Nick Drake, nonché la sfiziosa Carolyne says di Lou Reed intonata da Roberto Dell’Era. E poi ancora la bellissima nenia Il mio ruolo, l’anima struggente di Ci sono molti modi e le storiche Ossigeno e Posso avere il tuo deserto? a sollazzare i palati degli aficionados della primissima ora, senza dimenticare le oramai storiche Ballata per la mia piccola iena ed Il sangue di Giuda. Ma la perla assoluta della serata resta l’esibizione di quella Inside Marylin three times che nella riscrittura italiana diverrà Dentro Marylin, quivi lucidata a dovere in una devastante versione dai tratti progressivi a tinte psichedeliche, prima della chiusura d’autore con la splendida Quello che non c’è a preludere ad una standing ovation che congeda la band dopo quasi tre ore di spettacolo e di adrenalina pura. Se questo tour poteva essere (nei pensieri dei maligni) un’ipotetica prova del nove, il nuovo corso degli Afterhours parte sotto i migliori auspici, con la formazione rinnovata che tanto aveva fatto discutere ma che, al netto della tara, dimostra già un affiatamento pressoché perfetto, con i neoentrati Rondanini e Pilia assolutamente a proprio agio, inseriti già alla perfezione nei meccanismi del gruppo. Certo, la dipartita improvvisa di Prette e Ciccarelli ha indiscutibilmente reciso un’importante radice con il passato, ma del resto “non c’è niente che sia per sempre”, ed anche la scelta di ritrovarsi nell’atmosfera assai più sobria dei teatri, dimostra quanto fosse importante per Agnelli & co. ritornare ad una dimensione che garantisse un impatto diretto con il proprio pubblico, cercando di riannodare i fili dopo il lunghissimo tour celebrativo di Hai paura del buio?, al quale ha fatto seguito la già citata scissione. Nessuno degli astanti è rimasto deluso, e gli applausi scroscianti durante i ripetuti bis ne rappresentano la testimonianza diretta. Del resto, nel comunicato web che annunciava l’uscita di Ciccarelli e Prette, gli irriducibili Agnelli, Dell’Era, Iriondo e D’Erasmo avevano chiesto ai loro fan, esplicitamente, di Fidarsi. Chi ha continuato a credere nel progetto, ha ora la certezza che le sfide future che attendono la band potranno essere affrontate con spirito rinnovato ed una fisiologica iniezione di ottimismo dettato dalla riuscita di questo spettacolo che sulla carta poteva presentare più di un’incognita. E soprattutto, chiarisce se mai ce ne fosse stato bisogno e con buona pace di qualche critico musicale poco deontologico (vedi Monina ed il suo articolo) quanto Manuel Agnelli stia a monte ed a valle della band milanese: il carisma sul palco, la genialità della sua penna, la sua voce inconfondibile che entra dentro e scava in fondo ai sentimenti, magari anche il suo decisionismo, delineano l’immanente presenza di un leader che protegge e difende la propria creatura, riuscendo a regalare in ogni occasione perle di rara bellezza come questa ennesima trasformazione promette, in una sorta di nuovo inizio. Con buona pace dei detrattori, Manuel Agnelli E’ gli Afterhours. Che gli altri non ce ne vogliano.
recensione di Fabrizio 82