Ago 112011
 

Ripetendo un’apprezzata iniziativa del passato, la redazione di Slowcult propone l’ascolto di alcuni dischi, approfittando del maggior tempo a disposizione che la pausa ferragostana può consentire; ecco la prima delle tre parti in cui abbiamo diviso le nostre selezioni, dedicata ad alcuni classici da scoprire o riassaporare.
Buon ascolto e buone vacanze a tutti!!
La redazione di Slowcult.

——————————————————————————————————–

Claudia Giacinti consiglia:

Fabrizio De Andrè – Non al denaro non all’amore nè al cielo (1971 Produttori Associati)

Tempo di vacanze, tempo di letture. E di riletture. Con il quinto lavoro in studio di Fabrizio De André, rivisitazione in chiave musicale di racconti tratti da un classico della letteratura americana, l’Antologia di Spoon River di Edgar Lee Masters. Se rimane difficile relegare in una classifica i lavori di De André a causa dell’enorme spessore e originalità di ogni singolo album, è sicuramente impossibile liquidare tale capolavoro nelle poche righe di questa rubrica. Mi limiterò nel dire che quando un’opera letteraria valida viene trasposta in chiave musicale, teatrale o cinematografica la delusione è pressoché scontata, mentre in questa meraviglia di liriche stupendamente tradotte e accompagnate da suggestivi quanto perfetti arrangiamenti (di un giovanissimo Nicola Piovani), si compie il superamento dell’originale. E allora lasciamoci accompagnare ancora una volta per mano dalle anime di questo microcosmo attraverso i pubblici vizi e le private virtù dell’intera umanità, dove l’unica figura che si eleva e prende le distanze è colui che ha vissuto sereno e senza un rimpianto, come ci insegna il suonatore Jones. Chissà che a seguire non vi venga voglia di rileggere l’antologia. Per quel che mi riguarda… è già sul comodino.

——————————————————————————————————-
Alessandro Lepre consiglia:

The Velvet Underground – Loaded (1970 Cotillon/Atlantic)

Non si può non amare questo disco, quello del passaggio dal Lou Reed velvettiano al Lou Reed solista. Un album radiofonico, molto lontano dai Velvet Underground warholiani degli inizi. John Cale aveva lasciato il gruppo già dal 1968 e la band era totalmente nelle mani di Reed. Tutti i brani del disco, infatti, furono scritti da lui. Un preludio alla sua uscita dal gruppo che avvenne nell’agosto del 1970, tre mesi prima del lancio dell’album. Va detto pure che a Reed non piacquero i missaggi e i tagli fatti per rendere l’album più appetibile sul mercato senza la sua autorizzazione. Ma i pezzi del disco non li ha mai disconosciuti, come dimostra l’ultimo tour nel quale appaiono fisse in scaletta due tracce di quest’album. Nel complesso si tratta di un disco allegro e sfumato in cui spiccano perle come Sweet Jane, Rock and roll e Who loves the sun, vere e proprie pietre miliari del repertorio del grande poeta americano. Da sentire, risentire e innamorarsene.

——————————————————————————————————–

Susanna consiglia:

The Queen – The Game (1980 EMI)

Avevo 15 anni quando arrivava in Italia The Game dei Queen. Più tardi ho letto dalle recensioni che era l’album che ha segnato la svolta commerciale ed elettronica nella musica dei Queen, l’avvio di un successo fatto di stravaganze nel look e di costruzione del “personaggio” Freddie Mercury, l’ingresso nell’era che ha trasformato la musica in una serie di eventi di costume. The Game però, oltre ad essere tutto questo, era, ed è tutt’oggi, un disco bellissimo e sfaccettato, fatto da bei pezzi rock, pezzi funky e disco, (come dimenticare Another One Bites the Dust?) e anche da nostalgiche ballads come Sail Away Sweet Sister oppure Save Me. Eppoi c’è tutta la fantastica ironia dei Queen in pezzi come Don’t Try Suicide e Crazy Little Thing Called Love, omaggio al più classico rock’n’roll. Insomma un album vario, per niente datato e molto divertente. Ma allora io avevo solo 15 anni e per me era solo un’emozione bellissima sentire il disco e guardare in tv i primi video clip che arrivavano da noi e che ci facevano sentire un po’ più fichi e più grandi dei nostri 15 anni, quando ancora pensavamo che il mondo era tutto nelle nostre giovani mani ed era fatto di tante cose fantastiche, come la voce di Freddie Mercury e l’energica fantasia di questo gruppo inesauribile.

——————————————————————————————————–
Federico Forleo consiglia:

Killing Joke – Killing Joke
(1980 Virgin Records)
Sarà anche estate, ma perchè scappare dalla città e privarci dei suoi splendidi rumori metropolitani? Vedere svuotarsi le strade, chiudere i negozi, immaginando di rimanere come Vincent Price nel “L’ultimo uomo della terra”. E quale colonna sonora migliore in un contesto così industriale e apocalittico del debutto dei Killing Joke? A pensarci bene però, è’ un apocalisse tutt’altro che solitaria e riflessiva (alla Godspeed You! Black Emperor per intenderci): qui, accanto a quelle già consolidate dei Siouxsie and the Banshees e dei Peru Ubu, si forma un’altra tribù, capace di unire tutti i sopravvissuti in una selvaggia danza primitiva, utilizzando i pochi strumenti scampati alla catastrofe. Quando lentamente la vita ritorna sulla terra i frutti seminati dal “gioco che uccide” nutriranno milioni di gruppi (Nirvana, Tool, Metallica, Primus, Korn…), e loro stessi proseguiranno imperterriti il loro cammino, incuranti di qualsiasi fattore esterno che li possa condizionare o rinchiudere in una gabbia (provate a sentire l’ultimo disco del 2010, Absolute Dissident).

———————————————————————————————————

Il Signor Giù consiglia:

Miles Davis – Kind of Blue (1959 Cbs Columbia/Sony)

Kind of Blue è senza dubbio uno delle cose migliori che il novecento ha prodotto.
E’ il capolavoro del jazz modale, vero punto di riferimento per le genarazioni a seguire. La magia di Kind of Blue sta nel fatto che pur essendo un lavoro innovativo risulta immediato. Questo grazie alla linea melodica dei temi scritti da Davis da cui scaturiscono degli assolo assolutamente comprensibili.
Per la registrazione del disco non vennero fatte prove, Davis distribuì le partiture con abbozzate le linee melodiche dei brani direttamente in sala. il risultato fu sensazionale anche grazie a un sestetto formato da musicisti unici, che a loro volta hanno influenzato la musica jazz e non solo.
L’elenco fa un certo effetto:

Miles Davis – tromba
Julian “Cannonball” Adderley – sax contralto (ad eccezione di Blue in Green)
John Coltrane – sax tenore
Wynton Kelly – pianoforte (soltanto in Freddie Freeloader)
Bill Evans – pianoforte
Paul Chambers – contrabbasso
Jimmy Cobb – batteria

….continua…….

 Leave a Reply

You may use these HTML tags and attributes: <a href="" title=""> <abbr title=""> <acronym title=""> <b> <blockquote cite=""> <cite> <code> <del datetime=""> <em> <i> <q cite=""> <s> <strike> <strong>

(required)

(required)

*