Foreign Resorts New Frontiers (2014 Black Nutria Independent Label, distibuzione europea Altone)
The Foreign Resorts, riedizioni di un passato lontano.
Difficile scrivere di un disco, se non si conosce la band. O meglio, si tratta di una vecchia conoscenza di slowcult, che a suo tempo ha recensito il precedente Offshore, che però non mi capitò di ascoltare.
Ancora più difficile ascoltare per la prima volta una band senza associarla ad illustri e ben più famosi colleghi.
Con il nuovo, terzo, lavoro sulla lunga distanza dei danesi Foreign Resort ci ho (giuro) provato, fortissimamente provato.
Ma ho desistito.
Perchè questo è un disco dei Depeche Mode (e pure DM in stato di grazia, tengo a sottolineare).
Se lo facessi ascoltare a tradimento a dieci orecchie allenate, in otto mi risponderebbero “Ma che i Depeche hanno fatto un nuovo disco ? Che B side sono ? Come è strana la voce di Gahan.. Sono registrazioni pirata?”
Ma badate bene, ribadisco, Depeche Mode. Anzi, paradossalmente, meglio ! Perchè se gli ultrafamosi albionici avessero incluso queste canzoni nell’ultimo (moscio) disco, staremmo ancora parlando di miracolo, di copie vendute ed incassi miliardari (come dite ? Quelli ci sono comunque ? Dettagli industriali).
Non a caso, umilmente, sul loro sito i tre danesi hanno pubblicato anche un elenco di band di riferimento , alla vostra immaginazione i nomi presenti.
Di conseguenza, il difetto di questo disco è che la band non viene da Basildon bensì da Copenaghen, e per quanto il trio si potrà impegnare, e si impegna , il lavoro in questione passerà pressochè inosservato e nulla di nuovo si muoverà sul grande mare della musica.
Tirando le somme, una cosa va infine sottolineata, ascoltare un disco di buona new (old) wave nel 2014 , quando la maggior parte della musica, almeno da queste parti, è pesantemente e noiosamente in mano a rappettari ed hippoppari è segno di grande coraggio , da parte del gruppo e della Black Nutria che li ha scelti per la distribuzione italiana.
Le mie orecchie ringraziano , anche se la conseguenza è che dopo la fine del disco, se non durante, monta la voglia di riascoltare suoni di un meraviglioso passato lontano.
E parte Violator
recensione di Attilio