Lug 012019
 

Bologna, Ono Arte Contemporanea, fino al 15 settembre 2019

★★★★☆

A distanza di 39 anni, i Clash tornano a Bologna!

clash1A pochi passi da quella Piazza Maggiore che li vide protagonisti di uno storico concerto nel 1980, i quattro alfieri del combat Rock sono nuovamente visibili a Bologna, purtroppo solo in forma bidimensionale, ma l’emozione è sempre tanta, soprattutto per chi, come il sottoscritto, quel primo giugno di tanti (troppi…) anni fa era sotto il palco a pogare.

L’incontro tra i Clash e Adrian Boot avviene in un freddo pomeriggio londinese del 1977 nello studio della band a Rehearsal Rehearsals, uno squat disseminato da vecchie sedie da barbiere, divani crollati, lattine di birra vuote, immondizia e un jukebox. La situazione non era certo confortevole e il fotografo non riuscì a dare nessun suggerimento di posa, tanto che il servizio durò solo trenta minuti. Nonostante questi inconvenienti, molte altre furono le sezioni fotografiche realizzate con Boot, come ad esempio la Westway Sessions, oggi zona alla moda, ma nel 1977 antro depresso con i muri coperti di graffiti e attraversato da una superstrada in cemento, oppure la Belfasf Sessions, realizzata per l’appunto a Belfast nell’ottobre del 1977 e svoltasi come una semplice passeggiata in giro per la città durante un tipico giorno autunnale con il cielo plumbeo.

Non tanto tempo era passato dal primo concerto dei Clash, tenutosi nel luglio del 1976 al Black Swan di Sheffield, che nel 1977 firmano il contratto con la CBS Records, pubblicando il loro primo singolo, White Riot, e il loro primo album, The Clash, che ottenne un successo considerevole nel Regno Unito. Durante il maggio dello stesso anno prese via il tour che oltre all’Inghilterra e l’Irlanda, toccò anche la Svezia, la Francia e la Germania, ma il vero successo internazionale arrivò con la pubblicazione di London Calling nel dicembre 1979, diventata ormai pietra miliare della musica, e non solo quella punk.

È in questi anni, precisamente nel 1978, durante un concerto di Rock Against Racism (altro bellissimo scatto è quello con Tom Robinson ritratto di spalle davanti al proprio pubblico, proprio in uno di questi concerti)  organizzato dalla Anti-Nazi League, che Joe Strummer inizia a indossare una t-shirt con su scritto “Brigate Rosse” e con al centro l’emblema e la sigla della Rote Armee Fraktion. Strummer spiegò che il suo intento non era quello di appoggiare fazioni terroristiche di estrema sinistra, ma portare all’attenzione circa lo loro esistenza, come erano soliti fare i Clash, i cui testi delle canzoni erano ricchi di riferimenti politici, ma in un’Italia sconvolta dalle stragi terroristiche il fatto avrebbe creato non poco scompiglio e per questo venne persuaso nell’ evitare di indossarla.

La storia dei Clash è quella di un periodo turbolento, in cui politica, attivismo, musica e cultura underground legano indissolubilmente i loro destini per far vacillare le vecchie certezze e portando a una vera e propria rivoluzione socio-culturale, metamorfosi perfettamente colta dal fotografo Adrian Boot, che con i Clash – e molti altri gruppi del periodo – ha condiviso quegli anni frenetici.

L’emozione degli scatti di Adrian Boot e Syd Shelton, sommata al brivido nel vedere in originale le due iconiche fotografie utilizzate per le copertine di London Calling e di Sandinista! ad opera di Pennie Smith valgono da soli la visita. Onore al merito, pertanto, alla Galleria Ono, che dopo la bella mostra del 2016 su David Bowie torna a proporsi con immagini imperdibili che meglio di qualsiasi trattato di sociologia ci raccontano la storia musicale e sociale dell’ultimo quarto del novecento.

Unico, piccolo neo, la mancanza di un catalogo delle foto esposte, che sarebbe stato il giusto modo per portare a casa le emozioni degli scatti che ben raffigurano un’epoca remota ma ancora così profondamente vivida e pulsante.clash2

foto: ©Adrian Boot

recensione di Fabrizio Forno

Ingresso Libero

ONO arte contemporanea

via santa margherita, 10

bologna | www.onoarte.com

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