Mag 122013
 

Massimo Giangrande è uno degli artisti più intensi, ma anche delicati e di scrittura raffinata che proviene da Roma, qualcuno lo ha sicuramente incrociato con i Punch & Judy o a fianco di Lara Martelli, se non in tempi recenti con il Collettivo Angelo Mai.
Dopo il primo cd “Apnea” ora Massimo Giangrande torna sulle scene con un gran bel cd “Directions” frutto anche del suo incontro con Paolo Benvegnu, un cd molto bello, dove la scrittura di Massimo ci regala uno dei lavori più da scoprire con cura e calma, prendendosi del tempo per immergersi in queste storie cantate oltre che in italiano anche in inglese e francese (un brano su tutti “La neve di eva”). Un cd europeo mi viene da dire che dimostra quanto di buono la scena dei songwriters italiani può ancora dare.

Massimo e benvenuto su Slowcult, io e te veniamo dalla stessa sala prove la mitica Salamandra 33 a Trastevere del buon Antoine, eravamo tra le band più assidue li con i nostri sogni rock n roll vividi, naife, ma assolutamente genuini e veraci. Quali ricordi porti con te dei primi tempi e cosa ti porti ancora con te ora che finalmente il tuo percorso artistico ha preso una piega che possiamo dirlo senza timore di essere smentiti riporta alla canzone d’autore non solo con il Collettivo Angelo Mai (ho apprezzato tantissimo “Il mestiere di vivere” splendido affresco), ma anche nei due cd a tuo nome…

M.G: I ricordi di quella sala prove sono soprattutto l’odore di muffa e i poster che attaccavo alle pareti per coprire le macchie di sporco e lercio sulle pareti, era il posto dove scappavo da una realtà non sempre facile che vivevo a casa mia, era il mio “covo segreto”. La scelta di fare musica da parte mia è da subito partita come il dovermi conquistare ogni piccolo traguardo e gioia con fatica e duro lavoro e l’aver iniziato in un posto del genere, dove ci siamo marciti le ossa la dice lunga sull’amore che nutro per la musica.

A un certo punto ti sei liberato di una band come i Punch & Judy con i quali giravi abbastanza e ti sei esposto in prima persona. Ti manca fare parte di una band con tutto quello che comporta farne parte? (A parte il discorso Collettivo che reputo essere qualcosa che trascende il discorso di band, lo vedo, come penso molti altri, come un laboratorio aperto)

M.G:Far parte di una band come i Punch è stata una cosa fondamentale per me anche perché eravamo una di quelle band che lasciava poco spazio a malintesi: suonavamo e di brutto e per molti era un problema salire sul palco dopo le nostre esibizioni, il gruppo ti rende forte e ti protegge dagli urti che, in questo mestiere sono inevitabili, il fatto di dividere le glorie e i fallimenti con degli amici ti fa sentire speciale è un esperienza senza la quale oggi non sarei quello che sono.

Il tuo incontro con Paolo Benvegnù…conoscendo Paolo è una persona molto curiosa e molto incline a lavorare con artisti facendo produzioni o anche dando consigli (personalmente ho molto apprezzato il suo lavoro con i Vandemars ). Quale è stata la scintilla tra voi due e come vi siete relazionati e quanto la sua mano è visibile e palpabile in “Directions”?

M.G: Ho conosciuto Paolo durante un concerto fatto insieme in Lussemburgo, avevo già apprezzato i suoi precedenti lavori solisti, e dopo il nostro incontro ho avuto la conferma di trovarmi di fronte ad un uomo leale e straordinariamente sensibile come pochi ce ne sono nel nostro ambiente, inutile dire che sono felice di aver lavorato con lui e che il disco è il frutto di un lavoro fatto insieme con grande stima reciproca ed amore per la musica.

Sono cambiate tantissime cose dai nostri primi tempi, dall’epoca dei volantini fotocopiati e attacchinati per tutta Trastevere o zone limitrofe, è cambiato l’approccio alla musica live, la qualità dei locali e in questi ultimi 5 anni la quantità di produzioni indipendenti tanto che in mia opinione siamo in un momento di offerta che supera nettamente la richiesta. In tutto questo manca una vera legge della musica e il nostro “mestiere di vivere” non viene ancora totalmente riconosciuto. Ci salva la scrittura e il dare un senso al nostro percorso…anche perchè riconosco in te un urgenza di fare tutto questo anche perchè forse non sappiamo fare altro che dare delle parole a un foglio bianco per imprimere i nostri sentire.
Come ti relazioni a questi tempi e tutto questo ti da un extra spinta o ti disillude per continuare? Penso anche ad altri artisti che si sono molto demoralizzati da come la musica ora viene fruita al pari di un becero intrattenimento per fare audience

M.G:Nel nostro paese fare musica sembra diventata ormai un’operazione da trincea soprattutto se si cerca di considerarla come un’arte nobile e non come la parrucca da indossare per andare a qualche festa in maschera. Credo che manchi “l’esigenza” di fare i dischi e la ricerca nel trovare degli “argomenti” sonori o stilistici efficaci. Credo che la responsabilità sia anche di alcuni “colleghi” che con la scusa di dover “campare” fanno un disco ogni sei mesi che se ti va bene contiene 2 pezzi decenti quando forse farebbero bene a produrre ragazzi giovani che gli spaccano le ossa invece di continuare a fare i loro dischi inutili. Cerco di fare musica come se fosse l’ultima cosa che dovessi fare prima della fine, tutto il resto non conta!!

Grazie Massimo e a presto, magari ospite in una nostra Slowfesta

M.G.: Grazie a voi!

Intervista di Fabrizio Fontanelli
Fotografia: Laura Penna per gentile concessione

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