Ago 092012
 

Glen Hansard: Rhythm and Repose (Anti Records, 2012)

★★★★☆

Noi di Slowcult avevamo lasciato Glen Hansard in quel di Roma nella chiesa di San Paolo dentro le Mura a Roma intento a provare live, da solo con chitarra, ukulele e piano, le canzoni che avrebbero segnato il suo debutto solista, dopo un bel pò di dischi con i Frames e due cd e una colonna sonora con Swell Season. Un ritorno a quello che Glen faceva negli anni 90, splendidi solo shows coinvolgenti ed emozionanti, altra faccia della medaglia degli shows con i Frames. E ora questi testi sono stati definiti, e le canzoni registrate e fissate su supporto. Nato in quel di New York, il cd è la naturale prosecuzione del percorso umano dell’artista irlandese. Seguire la musica, abbandonarsi ad essa, che sia con i Frames, che sia con gli Swellies o da solo. Era forse il momento per uscire con qualcosa a suo nome dopo lo scioglimento (momentaneo? chi può dirlo, anche se Glen ha dichiarato che è difficile un loro ritorno) dei Swell Season. Il disco vive di canzoni totalmente nuove come di brani che vengono da lontano, molto lontano e la registrazione di Patrick Dillett (Laurie Anderson, David Byrne) e la produzione di Thomas Bartlett (Antony, The National) si rivelano l’optimus per questo capitolo di vita.
Inutile dirlo (sarò di parte forse), ma questo album, che è un grower sale piano piano insinuandosi nelle pieghe dell’anima, si candida ad essere uno dei lavori del 2012.
Si parte con “You will become” dove spunta alla voce Marketa Irglova, ma niente rimpianti qua si tratta di un cd di alto songwriting dove Glen punta a un intensità e a un suono minimale ma efficace e diretto che arriva all’anima senza via secondarie.
“Talking with wolves” cosi particolare cresce ascolto dopo ascolto rivelandosi essere la sopresa del cd alla quale sovente tornare. “High Hope” è il capolavoro del cd, già eseguita con gli Swell Season (brano a me molto caro visto che mi fu dedicato all’Auditorium di Roma) una ballad assolutamente da annoverare tra i gioielli del suo songwriting.
“The storm it’s comin” vede Glen al piano ed è uno degli apici emozionali del cd.
Segnalo anche “Bird of sorrow”, la deliziosa “Love don’t keep me waiting” dove ai fiati sbucano Jake Clemons e parte di coloro che ora stanno in tour con Bruce Springsteen (gli E-street horns), e la finale “Song of good hope” uno di quei brani che si erano stagliati lo scorso settembre durante il suo set romano.
Quando parlavo di brani che venivano da molto molto lontano mi riferivo al primo singolo tratto dal cd la particolare “Philander” scritta da Glen a 18 anni e molto molto diversa dal primo cd dei Frames molto Pixies oriented. (Fu prodotto poi proprio da Gil Norton il produttore dei Pixies). “Philander” è in assoluto il brano più particolare del cd e più sghembo. Ma merita una speciale menzione per avere una visione a 360 gradi delle varie influenze musicali e umane dell’artista dublinese.
La scena dublinese che si è sviluppata da metà anni 90 è ben presente con il brano “What are we gonna do” che nelle note è precisato essere una prosecuzione di “Sweet Suburban sky” di un altro artista dublinese da tenere d’occhio come Paddy Casey. (E a lui aggiungo, tra gli altri, Mundy, Gemma Hayes, Luan Parle, David Kitt, The Walls e Mark Geary, curiosate su Youtube..)
La versione deluxe del cd altamente consigliata contiene tre brani in piu tra i quali uno dei momenti più belli del suo live show “Come away to the water” (Incisa per “il film The hunger games” dai Maroon 5 e ora giustamente tornata a casa) oltre che “The Gift” e “Rare Bird”.
Citazione d’obbligo va all’artwork, un bel ritratto di Glen fatto da Colin Davidson, un gran bell’artwork per un grande bella conferma.

Bologna, Botanique, Giardini di Via Filippo Re 18 luglio 2012

★★★★★

Il Botanique a Bologna nel grazioso e piccolo parco dell’Università a un tiro di schioppo da Piazza Grande è stato senza dubbio uno dei festival più di qualità dell’estate torrida di concerti per tutto lo Stivale.
E avere nella programmazione l’unica data italiana di Glen Hansard è stato senza dubbio un fiore all’occhiello e il concerto forse più atteso.
Glen è in italia per promuovere il suo ultimo lavoro e molte delle persone accorse qua da tutt’Italia hanno ancora davanti gli occhi lo show solista di Roma dello scorso settembre alla Chiesa di San Paolo dentro le mura, oppure erano a Milano al Conservatorio per il concerto marchiato Swell Season, ma ci sono anche svariati fans dei Frames, band purtroppo assente per accompagnare Glen in questa data, ma che si ritroverà assieme a Settembre per la ripresa del tour.
E in molti oggi sperano in una riunione anche discografica a nome Frames, visto che un ritorno di Swell Season a detta di Glen è difficile viste le due vite separate anche geograficamente che lui e Marketa stanno conducendo al momento.
Ma torniamo a stasera. Glen è molto stanco, ha fatto le ore piccole a Dublino la sera prima e non si presenta neanche al soundcheck affidato al fido Simon Good.
Ma quando sale sul palco dove spicca solo un pianoforte e le sue chitarre è sorridente e felice, si presenta in un italiano cosi cosi e si lancia in una “Song for someone” intensissima e proveniente dall’ultimo (per ora) cd dei Frames, “The Cost”.
Glen si scusa con tutti noi per aver fatto tardi ma come ci racconta “Ho dovuto dormire perchè sapete ieri sera ero a Dublino avevamo due sere off e abbiamo scelto di tornare a casa perchè il Boss suonava a Dublino e non te lo puoi perdere Bruce quando suona a casa tua. Non è stato per divertimento, vai a vedere il Boss per altre ragioni..lo vai a vedere perchè devi fissare delle cose, devi infuocarti, vai a vedere il Maestro e impari e dici Gesu Cristo ne devo fare di strada, faccio un brano suo per ringraziarlo di mettermi il pepe al culo sempre…”
“Drive all night” è la perla della serata, chi conosce Glen sa che spesso questo brano fa parte delle sue setlists, sia da solo sia con Swell Season e sia con l’amico Jake Clemons, nipote dell’indimenticato Clarence e ora in tour con gli E Street Horns di Bruce nel “Wrecking Ball world tour”. Si percepisce dalla passione e dalla intensità di come la esegue che questo brano da “The River” è il brano che Glen predilige dello sterminato repertorio Springstiniano.
La tensione resta alta con “Leave” dal repertorio Swell Season. Appare subito chiaro che il concerto è un vero e proprio happenning. Glen come Damien Rice ed altri stabilisce subito un contatto con l’audience come se stesse suonando solo per te nel tuo salotto. E non c’è bisogno di setlist, si va avanti a improvvisare, prendendo le richieste che arrivano dal tuo pubblico.
Il piano viene usato solo per la bellissima “The Storm is coming” dedicata alla sua Irlanda.Mentre il suo rapporto con l’Italia viene sviscerato prima del singolo “Love don’t keep me waiting”, Glen racconta di essere stato ventenne ospite di un artista fiorentino sulle colline appena fuori Firenze. Alfredo era ossessionato dalle donne, non faceva che disegnarle in ogni momento. La grande abilità famosa di Glen come storyteller viene sempre fuori appena lui ha un gancio per inserire ricordi, sensazioni, un imprintig molto irish per chi conosce il popolo e la sua vivacità espressiva. Cosa aggiungere poi dello show? “Low rising” è sempre un gioiello, “Astral Weeks” di Van Morrison è strabordante e dirompente, spunta pure un omaggio a una delle band che hanno da sempre influenzato Glen ovvero i Pixies (Il primo cd dei Frames fu una produzione di Gil Norton produttore della band americana, fortemente voluto da Glen per “Another Love Song”) con “Cactus”. La bellissima “Come away to the water” torna a casa dopo esser stata usata dai Maroon 5 e per questo brano Glen si impossessa dell’ukulele forse uno degli strascichi dell’andare in tour con Eddie Vedder. A richiesta spunta uno dei brani più intensi dei Frames ovvero “Star star” che ci culla in questa notte bolognese. I postumi Springstiniani poi vengono fuori con Glen che ci coinvolge in un’improvvisata “Twist and Shout” per sistemare intanto la sua famosa Takamine bucata.
Non può mancare il momento con il jack staccato (Che Glen ha rubato durante un suo concerto con Jeff Buckley al Whelan’s di Dublino, un modo che aveva Jeff di zittire l’audience rumorosa e attirare l’attenzione) con “Say it to me now” e “Gold” degli Interference dove viene fatta salire a cantare una ragazza Silvia che si dimostra essere una perfetta sparring partner per Glen. A richiesta poi Glen sceglie di fare “Back broke” uno dei momenti più alti di Swell Season. A finire la prima parte dello show l’omaggio a Mic Cristopher caro amico di Glen scomparso tragicamente mentre era in tour con i Waterboys e cantante con i Mary Janes band fraterna dei Frames (i fratelli Odlum ora stimati produttori militavano uno Karl nei Mary Janes, l’altro Dave nei Frames). Glen non perde mai occasione di ricordare Mic e l’inno “Heyday” fa cantare tutto il Botanique.
Purtroppo si è fatto tardi e rimane il tempo per “When your mind’s made up” sempre dall’ultimo cd dei Frames e ripresa da Swell Season e per la finale “Passing through” di Leonard Cohen con tutti a cantare e ballare per una notte che non vorremmo mai finisse….

Set List

Song For Someone (The Frames)
Drive All Night (Bruce Springsteen)
Leave (The Frames)
The Storm, It’s Coming
Love Don’t Leave Me Waiting (con uno snippet di Respect di Aretha Franklin)
Low Rising (The Swell Season) (con uno snippet di Sexual Healing di Marvin Gaye)
Astral Weeks (Van Morrison)
In These Arms (The Swell Season)
Cactus (Pixies)
Come Away To The Water
Star Star (The Frames)
Twist And Shout (The Isley Brothers)
Say It To Me Now (The Frames)
Gold (The Interference)
Back Broke (The Swell Season)
Heyday (Mic Christopher)

When Your Mind’s Made Up (The Frames)
Passing Through (Leonard Cohen)

Recensione di Fabrizio Fontanelli

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