(Black Nutria, 2009 – distr. Audioglobe)
Metto il CD nel lettore e, dopo l’ascolto delle prime note, corro a ricontrollare la copertina, certo di essermi sbagliato ed aver messo su i Lali Puna….
In effetti la prima traccia, quasi omonima dell’album, rimanda inequivocabilmente a molte delle atmosfere che ci hanno fatto amare la band bavarese di Valerie Trebeljahr. Qui però a cantare con voce spesso sussurrata e sognante è Simone P. degli Esdem, band marchigiana che ha recentemente pubblicato la propria opera prima per la Black Nutria Indipendent Label, etichetta vicentina che tra gli altri annovera anche i Polar For The Masses, molto apprezzati da queste parti.
E sin dal primo ascolto ci si accorge che non si tratta di un debutto qualsiasi, ma quello di un quartetto dalle idee chiare e dalla forte personalità; la successione dei brani presenta atmosfere dolenti, mai cupe o angosciose però, alternate a vere sferzate di improvvisa energia sonora.
L’impressione predominante è comunque quella di un album notturno, delicato ed al contempo violento ed incontrollabile, in cui l’elettronica non è un freddo strumento di comunicazione ma è sempre al servizio dell’emozione più viscerale e profonda.
Si passa da situazioni morbide e soffici, come negli arpeggi avvolgenti di Crazy Cat, agli sprazzi trip-hop del Tricky più estremo, quello di Vulnerable per intenderci, più volte riconoscibile nella corposa Amnesia.
Il trip hop più ipnotico è nuovamente presente nella strofa di She fills my hair, alternato però ad un esplosivo ritornello distorto e tagliente, lancinante ed avvolgente.
I quattro di Macerata sanno il fatto loro, hanno fatto propria la lezione della new wave (ascoltate ad esempio la base ritmica di A promise is forever) attualizzandola ed adattandola al panorama del ventunesimo secolo con particolare sapienza e con risultati che, in questo ambito ed al di fuori del mondo anglosassone, solo i Notwist riescono ad ottenere.
Testi in inglese, tranne che nel recitato di Le mani di Iko, mesta e sommessa elegia funebre di una relazione, con grande capacità di esprimere un forte senso di vuoto e di arrendevole abbandono.
Non parliamo di indie rock, non affibbiamo etichette, non parliamo affatto: ascoltiamo con attenzione, alziamo lo sguardo al cielo, la luna e le stelle sbucano tra le nuvole.
Recensione di Fabrizio
[…] a pieni voti, non solo perchè viene confermato quanto di buono già espresso col precedente You can’t talk about indie rock, ma per essere riusciti nella non facile impresa di spostare più in alto l’asticella e […]