Roma, Auditorium Parco della Musica, Cavea, 26 luglio 2010
Difficilmente riuscirete a trovare un altro gruppo che affonda in egual misura le sue radici nella vita reale come i Tinariwen. Stiamo parlando di uomini e musicisti che hanno lottato realmente per affermare la stessa sopravvivenza dei tuareg (i famosi uomini blu del deserto) messa a dura prova dal governo del Mali, loro paese d’origine. Addirittura, al chitarrista e band-leader Ibrahim Ag Alhabib fu ucciso il padre dai soldati del Mali nei primi anni sessanta e così, come altri componenti del gruppo, trascorse in esilio buona parte della gioventù fra Algeria e Libia prima di appassionarsi alla musica e costruirsi, completamente in maniera artigianale, la sua prima chitarra elettrica. Parecchia acqua è passata sotto i ponti da allora e quella che l’altra sera si è esibita all’Auditorium, in una delle tante calde serate di questa estate romana è oramai una formazione rodata che mette in mostra una miscela sonora ispirata, principalmente dall’afro blues di Ali Farka Tourè ma che contemporaneamente elabora un proprio originale percorso. Anzi, in alcuni casi, se gli occhi improvvisamente si chiudono e la mente si lascia tranquillamente trasportare dalle onde sonore provenienti dal palco, può accadere di udire echi del Neil Young elettrico o passaggi che, in alcuni casi, ci trasportano nella New York dei Velvet Underground. Certo, abbiamo davanti sette musicisti nei loro splendidi abiti tradizionali che, quasi impassibilmente, producono suoni che sanno di sabbia del deserto, di notti rigide e di giornate assolutamente assolate e, poi, le strane movenze che verso la metà del concerto animano Wano Walet Sidati e Kesa Walet Amid (coristi del gruppo) per accompagnare le elaborazioni strumentali, sono decisamente poco etichettabili. E, a completare il tutto, ci sono naturalmente i riferimenti alla musica tradizionale degli uomini liberi del deserto, il rai ascoltato nelle taverne algerine o il chaabi marocchino. Una miscela che ha garantito ai Tinariwen l’Uncut Music Award nel 2009 per l’album Imidiwan Companions, dal quale sono state tratte diverse delle composizioni eseguite nell’ottima performance romana. E, nonostante la consueta eccessiva formalità imposta dalla cornice dell’Auditorium compensata dall’ottima visibilità e dalla perfetta acustica, buona parte del nutrito drappello di spettatori ha deciso, fin da metà concerto, di seguire in maniera personale l’evoluzione sonora della serata. Nei corridoi del parterre si sono formati, dunque, gruppi di danzatori spontanei soggiogati dall’ipnotica contagiosità di brani come Chatma o Assouf, assolutamente consapevoli che quello fosse il miglior modo di partecipare all’evento. Una scelta che ha influenzato anche chi vi scrive, già presente a un precedente concerto dei Tinariwen a Villa Ada, e, nell’occasione, assolutamente deciso a godere degli effetti benefici legati a questo genere di vibrazioni. La scelta di buona parte del pubblico deve essere stata gradita anche dall’ensemble che ha sensibilmente incrementato l’intensità ritmica negli ultimi brani del concerto e durante i due lunghi bis, sostenuta in buona parte dalle incalzanti percussioni di Mohamed AG Tahada e Said Ag Aiad. Molto entusiasmo, alla fine, e grande comunanza fra pubblico e musicisti con il leader Alhabib, addirittura raggiunto da un compatriota Tuareg evidentemente felice di poter condividere opinioni con lui e gli altri componenti la band. Una sorpresa finale degna dei Tinariwen e del loro assolutamente originale percorso…..
recensione di Tonino Merolli t.merolli@alice.it
foto di Andrew Levine
Assouf ag Assouf
Fog Edaran
Chabiba
Matadjam
63
Chatma
Assouf
Cler Achel
Emin Assossam
Assawt el Woch
Alghan Manin
Achriakan
Win Akalin
Amassakoul
Matanam
Lulla
Fog Edaran