Thee Silver Mt. Zion Memorial Orchestra & Tra-La-La Band , Circolo degli Artisti, Roma, 20/10/2008
Nati da una costola dei Godspeed You! Black Emperor, nome di culto del post-rock canadese, i Thee Silver Mt. Zion Memorial Orchestra & Tra-La-La Band si presentano in quintetto (in realtà ci aspettavamo almeno sette musicisti, ma la differenza non si avvertirà troppo) e si dispongono a semicerchio sul palco: davanti le due violiniste Sophie Trudeau e Jessica Moss, poi il cantante, chitarrista e leader Efrim Menuck e il contrabbassista Thierry Amar, infine il batterista Eric Craven. Una soluzione efficace dal punto di vista scenico e utile per far funzionare lo straordinario interplay che la band mostrerà nel corso del concerto.
La band entra in punta di piedi con il mantra “1,000,000 Died To Make This Sound”, un brano che sfiora i quindici minuti di lunghezza, ma con una struttura molto semplice: al lamento iniziale, accompagnato da suoni dilatati e minimali, ripetuto un’infinità di volte, segue una lunghissima esplosione sonora, una stratificazione interminabile di suoni, che muore improvvisamente per riprendere di nuovo l’inno iniziale. Efrim Menuck canta lontanissimo dal microfono, per quanto la sua voce è potente, e tutto l’insieme dei suoni ha un timbro particolarissimo, grazie al massiccio uso degli effetti sia sulla chitarra che sui violini. Il batterista Eric Craven è potente e quanto mai preciso, e con il suo tocco contribuisce notevolmente al sound globale della band, così come il contrabbasso di Thierry Amar, che alterna l’archetto e il pizzicato. Straordinarie poi per precisione e bellezza le costruzioni vocali cui partecipano tutti e cinque i musicisti.
I brani successivi proseguono con lo stesso approccio del primo: sono lunghe suite, con strutture semplici, divise fra momenti lenti e onirici ed esplosivi crescendo in pieno stile post-rock, tutte basate su un sound unico e sulla meravigliosa espressività vocale di Efrim Menuck. “God Bless Our Dead Marines”, dal capolavoro Horses In The Sky, offre suggestioni folk, quasi tribali, piangendo gli errori dei nostri “vulgar kings on their dirty thrones”: “They put angels in the electric chair” ripete Efrim. Commovente il canone finale, cantato sempre più piano e lontano dai microfoni, tanto che alla fine restano solo le voci in diretta, non più amplificate: “When the world is sick can’t no one be well? But I dreamt we was all beautiful and strong…”.
Tra un brano e l’altro Menuck, barba lunga e tantissimi capelli ricci, parla molto e scherza con il pubblico, che di contro ascolta la musica con attenzione, rispettando i momenti di silenzio e ricambiando ogni pezzo con lunghissimi applausi.
Ogni brano regala sussulti diversi: “Take These Hands and Throw Them in the River” cresce sempre sullo stesso ritmo, scandita dal suono dei due violini. “13 Blues for Thirteen Moons”, lunghissima title-track dell’ultimo album, ha un’introduzione solenne e minacciosa che ricorda i Neurosis, ed è il brano più rock e potente fra quelli proposti, mostrando un’insospettabile influenza dei Led Zeppelin nei riff di chitarra. “I Built Myself a Metal Bird…” è un pezzo inedito, ritmato, intensissimo, ossessivo fino allo sfinimento, con improvvise svisate melodiche e l’ennesima superba prova vocale di Efrim Menuck, e si chiude con un magnifico crescendo strumentale, dopo il quale il gruppo saluta e abbandona la scena: il pubblico non smette di applaudirli e di acclamarli finché non tornano sul palco per regalarci l’ultima perla “Microphones in the Trees”, costruita su un unico riff che sembra tratto da un brano classico e che parte piano, cresce fino al suo apice e poi muore dolcemente con Efrim che canta in un altoparlante e Sophie che canta nel violino.
I Thee Silver Mt. Zion hanno offerto ai loro fan romani un concerto splendido, atteso da anni, soprattutto dai molti che soffrono l’assenza dalle scene dei Godspeed You! Black Emperor (attualmente in uno stato di pausa a tempo indeterminato): la loro musica è fra le più originali in ambito post-rock, rinuncia a qualsiasi compromesso pop o tentazione commerciale, mantenendo però un grado di fruibilità maggiore rispetto a quella dell’altra band canadese, e sfoggiando un sound personalissimo. Esibizioni live come questa esaltano la grande qualità e l’emotività delle composizioni e mostrano una band che dopo cinque album continua a innovare e a spingere un po’ più in là i confini creativi del post-rock.
Live report di Andrea Carletti
Foto di Guid-0 in CreativeCommons
SCALETTA
1. 1,000,000 Died To Make This Sound
2. God Bless Our Dead Marines
3. Take These Hands and Throw Them in the River
4. 13 Blues for Thirteen Moons
5. I Built Myself a Metal Bird, I Fed My Metal Bird the Wings of Other Metal Birds
6. Microphones in the Trees