Roma, Circolo degli Artisti, 30 settembre 2009
Quattro come i punti cardinali, quattro come le stagioni, quattro come gli sbarbatelli che si fanno chiamare Cinematics. Arrivati a Roma appena due giorni dopo l’uscita del loro secondo album (‘Love and Terror’, 2009. The Orchard), hanno pensato bene di passare a riscuotere il loro successo, prematuro forse, per non dire -con una punta di cattiveria- quasi immeritato. E’ che la stima e la fiducia del pubblico solitamente bisogna guadagnarsele con continue dimostrazioni di valore. Ritornare sulle scene dopo due anni di silenzio (dal primo lavoro ‘A Strange Education’, 2007) probabilmente non è neanche così semplice, se sai che nessuno ti stava con ansia aspettando, se il mondo là fuori in realtà non avvertiva minimamente la tua mancanza. Ci vuole personalità e carattere per imporsi ad un mercato ormai saturo. E ci vuole anche coraggio, soprattutto se il soggetto in questione è un gruppo in buona parte anonimo, goccia d’acqua in un mare di boys-band in salsa britpop, una sferetta di pongo facilmente, troppo facilmente plasmabile e un po’ deforme. Deforme a tal punto che le influenze non restano solo marginali e appena ravvisabili, anzi, prendono il sopravvento a tal punto che sembra di vedere materializzati sul palco i Franz Ferdinand, con quei riff di basso martellanti e poco fantasiosi. Un esempio a caso, ‘Break’ o ‘Keep Forgetting’, singoli tratti dal primo album, che per quanto riusciti altro non sono che copie decentemente fedeli all’originale (altrui). Dal vivo però il quartetto tenta il riscatto da questa grande colpa, che è la scarsa originalità che li ha marchiati si spera non a vita, la mancata personalità, l’assenza –per ora- di una valida fonte ispiratoria. Si giocano, insomma, la carta del live, e non tutto è perduto. Scott Rinning ci prova, s’industria, s’impegna. E la sua voce non è poi così male, bene s’amalgama al resto di chitarre pop rock (la sua stessa, più quella del nuovo chitarrista Larry Reid) dai ritmi sostenuti e pieni, che s’accompagnano -seppur spesso monotoni- al basso ordinario di Adam Goemans. La scaletta propone interamente il nuovo album, fatta eccezione per un pezzo soltanto ‘Lips taste like Tears’, che ci viene risparmiato. I tre singoli del lavoro precedente, quelli che furono cavalli di battaglia, non possono mancare, sapientemente diluiti nel corso della serata come a richiamare a intervalli regolari l’attenzione d’un pubblico distratto.Niente di nuovo, tirando le somme. Niente d’entusiasmante, sebbene nel complesso non spiacevoli e comunque orecchiabili. Insomma, carta che vince non si cambia.. e cinicamente viene da pensare: se altri con questa carta hanno già vinto, perché adesso dovrebbero cambiare proprio loro? E va così, ci si accontenta. Senza godere.
Recensione di Rosa Rosae
Foto di Rosa Paolicelli
Scaletta:
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