Roma, Circolo degli artisti, 22 marzo 2013
La produzione di un opera monumentale quale l’album doppio “The Seer” a trent’anni di distanza dalla prima pubblicazione ufficiale degli Swans conferma, se fosse ancora necessario ribadirlo, lo straordinario stato di grazia in cui versa l’implacabile sestetto capitanato da Michael Gira: accolto dall’unanime plauso della critica, questo mastodontico album sembra spingere verso il limite estremo il suono della band newyorkese, all’insegna di una devastazione sonora monolitica e claustrofobica, dilata fino all’eccesso e incurante di qualsiasi confine temporale e strutturale. Chiunque ebbe la fortuna di assistere nei due anni precedenti a un loro live (vedi la precedente data romana del 2010) si rese conto della particolare struttura del loro show, all’interno del quale la singola canzone fatica ad emergere, fagocitata da un continuum sonoro ipnotizzante che assume a tratti la forma di una disturbante liturgia. E il pregio di “The Seer” è indubbiamente quello di essere riuscito a trasportare in un disco da studio la reale natura di un live degli Swans, operazione che il più delle volte, per altre band prettamente “da palco”, non è riuscita (pensiamo al primo album omonimo dei Grateful Dead).
Dopo il tutto esaurito del Locomotiv Club di Bologna nel novembre passato, Michael Gira e la sua creatura ritornano in Italia per tre date (Milano, Roma, Verona) e la data capitolina è ospitata da un
Circolo degli artisti andato anch’esso sold out. Arrivati alle 21.30, orario previsto per l’inizio dei live, ci accorgiamo invece che l’esibizione della band di supporto, gli Xiu Xiu, è già terminata: sebbene veniamo a sapere di un set in solitaria assai ostico e poco partecipativo da parte del deus ex machina della band, Jamie Stewart, ci dispiacciamo alquanto, non essendo ancora riusciti ad assistere a una loro esibizione sebbene siano frequentissime le incursioni in terra italica. Dopo una fugace occhiata al banco del merchandise dove fanno la loro bella presenza il vinile triplo di “The Seer”, alcuni splendidi poster e una fantastica maglietta su cui campeggia la scritta “You Fucking People Make Me Sick”, prendiamo posto molto vicino al palco incuranti dei presunti volumi devastanti a cui verremo sottoposti, memori del live precedente durante il quale non fummo particolarmente turbati dai decibel che fuoriuscivano dall’impianto. Avremo torto marcio.
Poco dopo le 22, sulle note di una insolita musica dal sapore santaniano caratterizzata dal peculiare timbro di uno steel drum (strumento che fa tornare alla mente le colonne sonore di James Horner di “48 ore” e “Commando”), i sei musicisti salgono sul palco e prendono posto con relativa calma: dopo un paio di minuti Christoph Hahn fa partire un sinistro loop ambientale che viene lentamente arricchito dalle impercettibili note della sua chitarra-slide, dal vibrafono percosso con l’archetto di Thor Arris e dal la-minore della Gibson ES-335 di Michael Gira (e il pensare che sia la stessa chitarra usata da una personalità agli antipodi come B.B. King ci fa alquanto sorridere). Il cantante intona i primi versi di “To Be Kind”, creando personali rimembranze post-rock affini ai primi A Silver Mt. Zion, che vengono interrotte dopo poco più di dieci minuti da un impressionante accordo distorto attraverso il quale gli altri tre membri raggiungono il resto della band per portare alla conclusione una seconda parte caratterizzata da lenti cambi di tonalità. La fine del brano è accolta da un’esplosione da parte del pubblico e immediatamente l’implacabile marcia che caratterizza “Mother of the World” ci investe con tutta la sua rabbia, facendoci questa volta pensare ai compianti Sleepytime Gorilla Museum. Senza soluzione di continuità, attraverso dei gorgheggi dal sapore sacrale di Michael Gira, il brano si trasforma in “Screen Shot”, splendida nel suo incedere tra blues e kraut, colorata dal clarinetto e dalle campane tubulari di Arris e portata al termine da un bellissimo arpeggio di Hahn, unico momento in cui il musicista imbraccerà una chitarra “normale” a discapito della slide. E solo alla fine di questo brano Gira si rivolgerà per la prima volta al pubblico con un semplice “Thank you very much, we are Swans”.
In questo brevissimo momento di pausa abbiamo però tempo di riflettere brevemente sulla resa sonora del Circolo degli artisti, che, al contrario dell’altra volta, sembra non rispondere in maniera
adeguata: la voce di Gira e la maggior parte del set di percussioni di Arris, ovvero le due “componenti melodiche” degli Swans, appaiono del tutto sovrastate dal resto della band, in particolar modo dal basso e soprattutto dai loop di Hahn.
E mentre l’esecuzione del successivo capolavoro “Coward” (contenuta nell’album “Holy Money” del 1986), non ne risente minimamente, grazie anche all’incredibile lavoro percussivo di Phil Puleo, lo stesso non si può dire della medley inedita “She Loves Us-Nathalie”: l’ incipit di campane tubulari risulta del tutto impossibile da cogliere e ad una seconda sezione in cui è una parte di basso di Chris Pravdica a farla da padrone segue un terzo movimento di devastazione totale che per la prima volta mette realmente a dura prova il nostro corpo (e infatti una spettatrice poco distante da noi perde i sensi). Un finale urlato, degno dei primi Neurosis di “Through Silver in Blood”, porta dopo circa trentacinque minuti il brano alla fine e finalmente ci sembra possibile riprendere a respirare normalmente, ma ci accorgiamo di non riuscire neanche ad emettere il più piccolo dei gridi o a proferire la benché minima parola: il silenzio risulta ora più nocivo del rumore, per rimanere in piedi il nostro corpo sembra aver bisogno di ulteriori masse sonore rumorose: gli Swans sono diventati il nostro ossigeno.
E il capire che la band ha attaccato la title-track di “The Seer”, che in studio dura trentatré minuti, ci esalta e intimorisce enormemente allo stesso tempo: riusciremo a resisterle? La risposta è per fortuna positiva perché rispetto al brano precedente l’ipnosi collettiva sembra qui sprigionare tutto il suo potere, ogni traccia di stanchezza e disagio scompare, trasportandoci per tre quarti d’ora attraverso lidi già battuti, ma ancora più affascinanti e oscuri, dominati dai salti di Michael Gira che dirige i cambi di accordo dei musicisti. Il finale di “The Seer” si trasforma quindi in “Toussaint Louverture Song”, in cui il cantante, declamando frasi in francese e spagnolo e mimando uno sgozzamento, appare davvero posseduto da una forza malefica; ormai privo di chitarra elettrica, si trasforma infine in un primitivo direttore d’orchestra spingendo i propri musicisti verso un ultimo agonizzante accordo che mette a dura prova anche loro stessi (impagabile l’espressione esausta del bassista). Ritorna il silenzio e il gruppo ci saluta, ma stranamente questa volta anche noi riusciamo a comunicare attraverso la voce il nostro entusiasmo verso la band, il nostro respiro appare finalmente tornato regolare. Non sembra quindi un caso la mancata esecuzione dell’ultimo brano previsto in scaletta: “Oxygen”. Il contagio è stato evitato. Per questa volta.
Recensione di Federico Forleo
Foto di Giovanna Onofri
To Be Kind
Mother of the World / Screen Shot
Coward
She Loves Us / Nathalie
The Seer / Toussaint Louverture Song