Cavea Auditorium Parco della Musica, Roma, 12 luglio 2008
Un concerto degli Sigur Ros è una marea che lentamente ed inesorabilmente incede. All’inizio non ci si fa caso, poi, all’improvviso, ci si ritrova invischiati nella corrente e non si può fare a meno di nuotarci dentro.
Una prestazione attesa, ma ugualmente fantastica, coinvolgente ed a tratti commovente. Di fronte ad una Cavea strapiena, che già li aveva visti protagonisti tre anni esatti or sono, i quattro islandesi hanno ribadito la loro grandezza ed il loro credo: proporre una musica tecnicamente semplicissima , che arrangiata come solo loro sanno fare diventa un marchio di fabbrica unico e raro.
L’assoluta assenza di virtuosismi è la forza preponderante del gruppo. Nessuno suona per se, tutti suonano per tutti. Lo schema base, Jonsi chitarra e voce celestiale, Georg basso, Kjartan pianoforte e Orri batteria, viene spesso stravolto con i quattro che si scambiano gli strumenti, si producono in incipit allo xilofono, oppure si fermano in silenzio assoluto a metà di un brano per poi riprendere a cavalcarlo.
Aiutati dalle fide Amiina agli archi, questa volta sciorinano pure un quintetto di brass band a riempire i già corposi arrangiamenti. Il successo mondiale li ha resi meno timidi ed impacciati del passato, ma è dal passato che tutto comincia, con una splendida Svefn-g-englar, dal disco della rivelazione Agaetis Birjun. Al solito pochi ed interminabili brani, frammezzati dalle nuove composizioni del nuovo lavoro, il cui titolo tradotto è, per l’appunto, “con un ronzio nelle nostre orecchie suoniamo senza fine”.
Un disco, a tratti, decisamente più pop dei precedenti, a cominciare dal singolo Gobbledigook, posto a fine serata, con tutto il pubblico in piedi a scandire il tempo con ritmico battimani, circostanza impensabile fino a poco tempo fa.
Si stanno evolvendo, i ragazzi, come è naturale che sia: ciò comporta nuove versioni di pezzi ormai celebri, Hoppipolla è trasfigurata in un finale noise degno dei migliori Sonic Youth, oppure Ny Battery rallentata fino a farla sembrare la più dolce nenia . Anche il modo di proporsi è cambiato, tre anni fa si nascondevano dietro ad un telone che andava e veniva durante lo show, stavolta si presentano in divisa nera con tanto di pailletes (Jonsi) a far da contraltare ai vestiti quasi antico sacerdotali delle Amiina e al bianco candido della sezione fiati.
Si evolvono senza tradire il loro credo: cambiano le composizioni , ma il profumo d’Islanda, di amore viscerale per la natura, di tutto ciò che la loro lontana cultura produce, è il fulcro della loro presenza sul palco. Cambiare non cambiando, passate la licenza. Per questo resteranno un pilastro inconfondibile della musica moderna. Si permettono anche effetti speciali come una finta nevicata su Fliotavik o un’esplosione di coriandoli per celebrare la fine del set regolare.
Lo stesso Jonsi vince la timidezza, incita , si muove e dimena sul palco, non sembra certo una persona cieca da un’occhio. Hanno il pubblico in pugno, dalla prima all’ultima nota: un pubblico straordinariamente preparato ed accondiscendente, che diventa parte integrante dello spettacolo perché impara subito a capire quando è il momento di tacere e quando di scatenarsi.
Per ringraziare, come bis, regalano un’unica fantastica, versione dell’Untitled 8, pezzo di chiusura del terzo disco. Quasi 15 minuti di rincorsa che sfocia in uno dei finali noise più celebri degli ultimi dieci anni di musica. Non si può non rimanere estasiati da questi ragazzi.
A fine spettacolo, guidati dal nostro unico ed insostituibile Magister, siamo andati a fare una visita nei camerini. Ci si è parata davanti una scena molto rock, Jonsi indaffarato alla ricerca di una pizza, Georg alla ricerca di un apribottiglie, Orri, Kjartan ed i ragazzi della sezione fiati a fumare e chiacchierare sul terrazzino. Ci raccontano di splendide sensazioni vissute all’Auditorium, mentre la sera prima a Firenze hanno avuto una serie di piccoli problemi tecnici che li hanno infastiditi. Sono rimasti molto colpiti dal gran numero di persone rimaste fuori senza biglietto ad ascoltare il concerto, dopodiché ci hanno salutato, il pullman per Milano li aspetta.
E noi non vediamo l’ora che tornino da queste parti.
Recensione by Attilio
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Scaletta del Concerto
Da due giorni ascolto Med Sud e non riesco a non farlo.Vorrei tanto conoscere il significato di All Alight perchè ho i brividi alla schiena ogni volta che questa melodia entra nella mia stanza.E’ stato mio figlio a farmeli ascoltare:ha messo questo disco lunedi .Grazie a loro grandissimi.Che dire di più se non che lunedi nevicava.Buone cose a tutti.
[…] ha germogliato ed è cresciuta quest’opera è più da ricercarsi nella tradizione europea (Sigur Ros e Notwist in primis) che in quella più espressamente anglosassone. La produzione di Giulio Favero […]