Roma, Forte Prenestino, 18 settembre 2016
Nell’ambito del dibattito concernente la regolamentazione degli spazi occupati, l’evento svoltosi al Forte Prenestino lo scorso 18 settembre ha lasciato un segno tangibile della volontà che si respira nella capitale di non permettere la completa smobilitazione, peraltro parzialmente attuata, delle strutture dedicate all’attività sociale con attenzione particolare agli spazi preposti alla musica dal vivo. L’occasione in questione è la presenza degli Afterhours, impegnati in questa tappa romana extra tour ad esclusivo sostentamento all’attività del Forte oramai da trent’anni occupato ed attivo sul terreno politico ma soprattutto fulcro cittadino della musica on stage underground, perorandone la causa e proponendo nell’occasione un ingresso a sottoscrizione di soli 5 euro da destinare completamente alle casse del Forte stesso. La serata, in verità, non sembra tra le migliori per un concerto all’aperto, vista la pioggia torrenziale che si abbatte sulla capitale ed il luogo che è ospitato all’interno di un parco, con tanto di pozzanghere e relativa fanghiglia, ma i rockettari duri e puri riempiono comunque quasi completamente l’area concerti del Forte. L’apertura dell’happening è affidata agli Zu, che preludono all’ingresso sul palco di Manuel Agnelli & co., precisamente nell’istante in cui cessa di piovere e la mezzanotte è già trascorsa. La scaletta della serata ricalca quasi fedelmente quella del recente tour estivo, recando sugli scudi le tracce relative all’ultimo prodotto della band Folfiri o Folfox, disco bellissimo e complicato da assimilare nel breve sia da un punto di vista concettuale che musicale, trattandosi tra l’altro di un doppio CD (o LP). L’apertura della struggente Grande è quasi totalmente affidata alla voce ed alla chitarra di Manuel, prima di alzare i giri con Ti cambia il sapore ed Il mio popolo si fa e continuando a scaldare il pubblico con la delicata Non voglio ritrovare il tuo nome, brani estratti in toto dall’ultimo lavoro e già pienamente rodati in versioni live prive delle minime sbavature. Iniziano quindi i cavalli di battaglia ai quali gli aficionados degli Afterhours sono avvezzi: dapprima, la band coinvolge il pubblico con Ballata per la mia piccola iena seguita da Varanasi baby e La vedova bianca, passando poi per la storica Male di miele, prima dell’intensa Il sangue di Giuda e della lisergica Bungee Jumping. L’acustica nonostante il tempo e la location è sorprendentemente buona, e gli After vomitano decibel con La sottile linea bianca prima della disincantata Costruire per distruggere, chiudendo infine la prima parte con la conciliante Se io fossi il giudice, altro estratto da Folfiri o Folfiox Dopo pochissimi minuti di break, riparte lo show con Manuel che si presenta sul palco a petto nudo intonando La verità che ricordavo infiammando ovviamente il pubblico, particolarmente quello femminile che recapita sul palco persino qualche esemplare di biancheria intima (!), mentre la successiva Strategie rappresenta una sorta d’inno generazionale per i fedelissimi della band milanese, che si concede poi un salto nel passato rispolverando in versione acustica la vecchissima Pop ed omaggiando i presenti con la nenia di Non è per sempre. Tra una nota e l’altra la band non perde un colpo, e nonostante i tre mesi fitti di date alle spalle la voce di Manuel è al solito calda e ruvida, se possibile ancor più viscerale rispetto al recente passato; si giunge così verso la conclusione della performance, come di consueto affidata al capolavoro di Quello che non c’è ed alla devastante long version on stage di Bye bye Bombay, due pezzi straordinari che lasciano estasiati i presenti ormai dimentichi delle intemperie affrontate durante la serata. Si chiude così quest’evento di fine estate, altamente esemplificativo della battaglia che intercorre tra le ordinanze di sgombero delle amministrazioni e la resistenza degli attivisti che lottano per mantenere viva la scena culturale capitolina seppur tra mille difficoltà, potendo contare nella fattispecie sulla presenza degli Afterhours, la quale risulta fondamentale per connotare l’iniziativa all’interno di un alveo che sostenga soprattutto questi luoghi d’aggregazione, spostando il discorso politico su un versante meno invasivo e cercando di evitare le consuete strumentalizzazioni che allignano all’interno delle dispute partitiche preconfezionate. Evitando di addentrarci sia sulle reali opportunità che sugli stanchi idealismi dimoranti in determinati contesti, l’iniziativa ha dimostrato la volontà ferrea e mai sopita da parte della comunità cittadina di non voler trascurare spazi come il Forte Prenestino, destinati altrimenti a restare abbandonati a se stessi, quando con uno sforzo comune pacifico e condiviso è possibile offrire serate come queste a cifre popolari ad esclusivo beneficio della collettività interessata. E pazienza se sui social c’è il solito sinistrorso radical chic che si chiede cosa c’entri Manuel Agnelli da X Factor al Forte Prenestino…: se il retroterra culturale degli under 40 di oggi è così imbarazzante lo dobbiamo a cotali mentalità stagnanti e bigotte che da un ventennio hanno dato il colpo di grazia a quel che restava in piedi dell’intellighenzia della dispersa sinistra. Non ce n’era bisogno, ma i presenti possono confermare: dopo un concerto straordinario durato un paio d’ore, all’uscita del Forte ritorna la pioggia. E tutti tornano a casa sudati, ancora fradici e con la consapevolezza che la musica, quella vera, è coerente e non si ferma davanti a nulla.
Recensione di Fabrizio ‘82