Roma, Circolo degli Artisti, 19 maggio 2009
Superata non senza fatica la sindrome del secondo album, elaborata con enormi difficoltà la separazione dalla vocalist KT Tunstall, destinata a percorrere una brillante quanto insapore carriera di popsinger, ecco tornare a Roma i londinesi Oi Va Voi (in yiddish ‘oh mio dio’). Ed è un ritorno in grande stile, con una formazione solida e ben assortita, che anche dal vivo riesce ad essere coinvolgente ed a tratti trascinante. L’uscita del terzo album Travelling the face of the globe testimonia che la band è tornata ai livelli dei loro esordi, a quel Laughter Through Tears che nel 2004 li impose alla ribalta intenazionale, grazie soprattutto ad un singolo, Refugee, diventato presto un vero inno ed il manifesto della loro poetica musicale, basata su un particolare meltin’ pot di klezmer, rock’n’roll, balcanica, trip-hop e world music. Indubbiamente la formazione necessitava di una front-woman che potesse rimpiazzare egregiamente la Tunstall, e bisogna ammettere che l’arrivo della statuaria vocalist nera Bridgette Amofah, coadiuvata dalla vulcanica ed indemoniata violinista Anna Phoebe, riporta gli Oi Va Voi ai fasti del loro esordio.
Facciamo però un brevissimo passo indietro per parlare del live set di Liam Finn che ha aperto la serata. Il palco B del circolo è stato allestito come un tinello, con tanto di quadri alle pareti, abat-jours e comodini per preparare il pubblico presente ad un’esibizione di musica fatta in casa:evidentemente il figlio di Neil Finn, cantante dei Crowded House, fuggendo dall’affollamento casalingo che diede nome e fama alla band del padre, è comunque restato imprigionato dalle mura domestiche, al punto di proporsi in coppia con la paffuta E.J. Barnes alla cetra, percussioni e voci, utilizzando la sua telecaster, un’essenziale batteria ed abusando di numerosi pedali e soprattutto di una loop station con la quale sovrapporre strumenti, voci ed effetti per creare un millefoglie casareccio di folk-rock che, evaporato un inizialmente piacevole effetto sorpresa, è risultato alquanto ripetitivo e fine a se stesso.
Tutt’altra storia sul palco A, con tanta (buona) musica, sette musicisti, un repertorio vario ed articolato per un’ora e mezza di grande livello. Dopo Photograph in versione strumentale a fare da sigla d’apertura, è subito arrivato il momento di Refugee, con la voglia di riproporla ad inizio concerto come doveroso omaggio al successo di pubblico che il brano ha rappresentato per la band, ma con la chiara intenzione di guardare subito avanti e non restare imprigionati nel passato prossimo; arrivano poi i primi brani del nuovo album tra cui la notevole Every Time, in cui il clarinettista Steve Levi passa al centro della scena come lead singer, intrecciando il proprio canto con la voce calda ed affascinante della splendida Bridgette. Arrivano poi anche un paio di brani dal secondo album, intitolato proprio Oi Va Voi al fine di considerarlo un punto a capo nell’evoluzione della band, anche se considerato da molti un mezzo passo falso. La versione dal vivo di Gipsy e I Know What You Are sembra però mettere a tacere anche gli ascoltatori più diffidenti. L’atmosfera da festa da ballo gitana esalta le doti di scatenata fatina nera di Anna Phobe, una forza della natura che cattura l’attenzione del pubblico e a volte ruba la scena alla carismatica Amofah, la title-track ci porta dalle parti del Kusturica primi anni novanta, l’arpeggio di chitarra di Ammar di Yesterday’s Mistakes scatena un’ovazione generale, il concerto si conclude, musicisti e pubblico zuppi di sudore per la torrida temperatura raggiunta in sala, e non solo per l’improvviso arrivo dell’estate romana. Bentornati, grazie, a presto.
Recensione e foto di Fabrizio
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