Roma, Auditorium Parco della Musica, Sala S. Cecilia, 27 novembre 2013
È bastato arrivare a metà del secondo brano in scaletta perché il concerto di Nick Cave e dei suoi Bad Seeds sprigionasse tutta la sua forza, sovvertendo il comodo ordine dei posti in platea, travolgendo il pubblico, esplodendo con trasporto ed eleganza. La meravigliosa “Jubilee Street” parte soffice, con la chitarra di Warren Ellis in primo piano, i leggeri tocchi di organo, la bellissima melodia e la voce bassa di un Cave che già freme dalla voglia di diventare tutt’uno con i suoi fan, camminando avanti e indietro sul bordo del palco. Poi il brano accelera leggermente, cresce di intensità e sensualità, si carica di tensione, continua ad aumentare in potenza e velocità, fino a deflagrare nel momento esatto in cui il frontman scende fra il pubblico e in tanti si lanciano su di lui. Da quel momento inizia un altro spettacolo: tutta la platea si riversa sotto il palco e Nick Cave canterà, urlerà e ballerà per tutta la durata dello show a pochi centimetri dagli spettatori, tirandone qualcuno sul palco, stringendo mani, baciando ragazze, lanciandosi innumerevoli volte sul pubblico, donando tutto se stesso a chi è venuto ad ascoltarlo e soprattutto a vederlo nella sala Santa Cecilia.
Il concerto era stato aperto dalla newyorkese Shilpa Ray, accompagnata solamente dal suo harmonium, interessante in alcuni momenti soprattutto per lo stile vocale, ma penalizzata dal fatto di essere sola e dispersa sull’enorme palco già pieno della strumentazione dei Bad Seeds e dall’inspiegabile abitudine dell’Auditorium di far suonare gli artisti di supporto con le luci accese e mentre la sala si sta ancora riempiendo.
Ma quando salgono sul palco Nick Cave & The Bad Seeds, allo scoccare dei trent’anni di carriera, l’attenzione del pubblico diventa religiosa e l’atmosfera della sala Santa Cecilia si fa splendida: reduci dal bellissimo, notturno album “Push The Sky Away” (il primo senza Mick Harvey, al fianco di Nick Cave sin dai tempi dei The Boys Next Door e poi negli straordinari The Birthday Party) si presentano in una potente, elegante e versatile formazione a sette. Si parte con “We No Who U R”, che apre anche il disco, delicata e sommessa, impreziosita dagli interventi di Warren Ellis al flauto traverso, ed è ancora difficile immaginare cosa succederà con il brano successivo, la già raccontata “Jubilee Street”.
L’energia dello show non cala neanche per un attimo: brani come la sinistra “Tupelo”, l’incalzante “From Her To Eternity”, o l’ammiccante “Red Right Hand” alternano esplosioni di rumore e dissonanze a pause cariche di tensione, con Warren Ellis in versione sciamano a far strillare il suo violino filtrato dagli effetti. Nick Cave si mostra in tutta la sua potenza di frontman, mettendo insieme la follia animalesca di Iggy Pop, la sensualità di Mick Jagger e la forza evocativa di Jim Morrison.
Gli altri membri della band stanno mezzo passo indietro, perfetti: minimali e di grande personalità i giri di basso di Martyn Casey, essenziale ma sostanziosa la batteria di Jim Sclavunos, bellissimi i suoni e le partiture dei due tastieristi Conway Savage e Barry Adamson (che a volte si sposta al vibrafono o ad una batteria aggiuntiva), ottimo il supporto di George Vjestica alla chitarra.
Con un cantautore straordinario come Nick Cave ovviamente non ci si può aspettare solo rock e sudore: c’è anche modo di rifiatare con la classe pura del ritornello di “Mermaids”, ancora da “Push The Sky Away”, e ci si commuove con “The Weeping Song”, estratta dal capolavoro “The Good Son”, struggente anche se priva della seconda voce di Blixa Bargeld, il leggendario frontman degli Einstürzende Neubauten, che ha lasciato i Bad Seeds nel 2003 dopo averli fondati vent’anni prima con Harvey e Cave.
La scaletta pesca in quasi tutta la discografia del gruppo, tralasciando solo alcuni album degli anni Zero. Oltre al disco uscito all’inizio di quest’anno viene privilegiato anche “The Boatman’s Call”, protagonista con “West Country Girl”, “People Ain’t No Good” e “Into My Arms”, tre bellissime ballate che Nick Cave suona al pianoforte insieme a “Sad Waters”, delicatissima e esaltata dal violino di Warren Ellis.
È lo stesso Warren Ellis con la sua chitarra a quattro corde ad introdurre l’intensa ed epica “Higgs Boson Blues”, quasi nove minuti che si reggono solo su tre accordi e sulla forza vocale di Nick Cave, tra momenti di silenzio quasi assoluto e crescendo celestiali. Ed è tutta in crescendo anche “The Mercy Seat”, che si sviluppa vorticosa e nervosa fino all’ultimo accordo sul quale Warren Ellis lancia l’archetto del suo violino lontano sul sipario nero alle spalle della band. La strafottente “Stagger Lee”, splendido andamento blues e continuo profluvio di “motherfucker”, e la soffusa “Push The Sky Away”, in cui Warren Ellis suona una piccola tastiera che tiene poggiata sulle ginocchia, chiudono la prima parte di un concerto semplicemente perfetto per scelta delle canzoni, cura dell’esecuzione e intensità.
Quando torna sul palco per il bis, richiamato dagli applausi di un pubblico in estasi, Cave si siede di nuovo al piano per la commossa “God Is In The House”, dedicata al “Silvio” appena decaduto, e sulla quale il cantante, eccellente per tutta la durata del concerto, per una volta cade in qualche sbavatura sulle note più alte. È l’unico piccolo difetto imputabile ad un concerto di livello altissimo, forse insieme alla successiva “Deanna”, un pezzo di puro rock quasi alla Springsteen, ma privo della drammaticità e della forza emotiva di tutti gli altri brani in scaletta, e per questo apparso un po’ fuori luogo.
Poi arriva persino il momento delle richieste: “What do you wanna hear?”, chiede Cave ai suoi adepti, e dalla confusione dei titoli che piovono sul palco viene pescata la potentissima “Papa Won’t Leave You, Henry”, eseguita con la Sala Santa Cecilia illuminata a giorno e tutta la platea che salta in visibilio, accompagnando i cori di tutti i Bad Seeds durante il ritornello. Si chiude con “We Real Cool”, lieve ed elegante, ma anche divertente a causa di un ragazzo del pubblico che per tutta la durata del brano se ne sta abbracciato al cantante australiano, senza sapere bene cosa fare, impalato e un po’ imbarazzato.
Di personaggi come Nick Cave e di band come i Bad Seeds in giro ce ne sono pochi: è straordinaria la loro capacità di scrivere una musica mai complessa, ma sempre profonda e intensa. Per due ore nella Sala Santa Cecilia sono risuonate grandi canzoni, basate su strutture e melodie semplici, ma sempre su suoni e arrangiamenti interessanti, contemporaneamente classici e fuori da qualsiasi schema (in questo senso definire fondamentale il lavoro con chitarra, violino e flauto di Warren Ellis è persino riduttivo). E l’impressionante carisma di un frontman come Nick Cave è una merce sempre più rara, intatta anche dopo più di trent’anni di carriera. Ci auguriamo che una meraviglia tale si preservi ancora a lungo, e che gli australiani ripassino ogni tanto dalle nostre parti a mostrarcela un’altra volta.
Live report di Andrea Carletti
Foto di Andy MacLeod, Isabelle e Nick in Creative Commons.