Roma, Alpheus Club, 22 ottobre 2009
A tre anni di distanza dall’ultimo passaggio nella capitale tornano a Roma gli inossidabili Mudhoney, ultimi veri superstiti di quella che molti definiscono l’ultima rivoluzione del rock, ovvero l’esplosione del cosiddetto “Seattle sound”, meglio noto come “grunge”.
Non fa male ribadire che il grunge non fu affatto un movimento omogeneo, ma semplicemente un pugno di band davvero straordinarie che per una fortunata coincidenza raggiunsero il loro massimo splendore nella stessa città e nello stesso momento storico. Certo, si può evidenziare come le radici musicali fossero condivise da quasi tutte le band, così come lo spirito genuinamente alternativo degli inizi (che figure come Kurt Cobain o Eddie Vedder tentarono disperatamente di mantenere vivo a dispetto della spietata commercializzazione della scena), ma le differenze erano molte di più ed effettivamente risulta difficile accostare un gruppo quasi metal come gli Alice In Chains a band di chiara derivazione punk come i Nirvana o come gli stessi Mudhoney.
I Mudhoney si presentano a Roma con tre quarti della formazione originale: a Mark Arm (voce e chitarra), Steve Turner (chitarra) e Dan Peters (batteria, suonò brevemente anche nei Nirvana) si è aggiunto nel 1999 Guy Maddison (basso), che ha sostituito il bassista originale Matt Lukin. Tutto cominciò nel 1984 con i Green River, considerati il primo vero gruppo grunge, in cui Arm e Turner dividevano il palco con Jeff Ament e Stone Gossard (oltre che con il batterista Alex Vincent). Allo scioglimento dei Green River, nel 1988 Arm e Turner fondarono i Mudhoney, mentre Ament e Gossard diedero vita ai Mother Love Bone e successivamente ai Pearl Jam.
I Mudhoney rappresentano insieme ai Nirvana il lato più punk della scena grunge, non avendo assorbito praticamente nulla dall’heavy metal o dall’hard rock degli anni ’70, che insieme al punk costituiscono le fondamenta musicali su cui il movimento grunge si è sviluppato. Canzoni semplici, pochi accordi e pochi fronzoli, molta sostanza, notevole impatto sonoro, suono fangoso: questa la sintesi del concerto dell’Alpheus, a cui bisogna aggiungere la straordinaria prova di Mark Arm, ottimo cantante (oltre le aspettative, ad essere sinceri) e grandissimo frontman. L’accostamento a Iggy Pop è obbligatorio, anche perché soprattutto nelle movenze i riferimenti all’Iguana sono espliciti.
Il concerto è stato aperto dai veneziani Love In Elevator, attivi dal 2001 e autori di un noise rock con testi in italiano, molto potente e ben suonato, ma non particolarmente originale e che a dispetto di un paio di brani interessanti non riesce a catturare la nostra attenzione.
Quando i Mudhoney salgono sul palco l’Alpheus non è pieno, ma si è raggiunto comunque un buon numero di presenze, segno che i gruppi della scena di Seattle hanno ancora un seguito importante. Si parte con “The Money Will Roll Right In”, cover del gruppo punk californiano Fang, che anche i Nirvana suonavano spesso dal vivo. Si passa poi ad alcuni brani tratti dall’ultimo lavoro di studio “The Lucky Ones”, che mostrano come i Mudhoney non abbiano molta voglia di spostarsi dal sound che li ha sempre caratterizzati, riuscendo comunque a mantenere ad un buon livello la qualità dei brani, come testimoniato ad esempio da “Next Time” o dalla title-track “The Lucky Ones”. Tra l’altro gli ultimi due album dei Mudhoney sono stati prodotti dalla Sub Pop, la storica etichetta di Seattle che li aveva inizialmente lanciati e che produsse quasi tutti i gruppi grunge più importanti, e a cui i Mudhoney si sono legati nuovamente dopo aver passato gli anni Novanta con la Reprise.
Ma è con i brani più datati che i Mudhoney mostrano tutta la loro forza, in particolare con i primissimi singoli, pubblicati a cavallo fra gli anni Ottanta e Novanta: “You Got It (Keep It Outta My Face)”, la fondamentale “Touch Me I’m Sick” e la sua b-side “Sweet Young Thing Ain’t Sweet No More” (forse il miglior momento del concerto) e la potentissima “Hate The Police”, suonata in chiusura del concerto, sono pura essenza grunge.
Non mancano anche ottimi estratti dagli album degli anni Novanta, su tutti “Judgement, Retribution And Thyme” (con un fantastico riff di slide guitar suonato da Mark Arm), “Today, Is A Good Day”, “What Moves The Heart?” e “F.D.K. (Fearless Doctor Killers)” da “My Brother The Cow” del 1995, o “Good Enough” da “Every Good Boy Deserves Fudge” del 1991.
Oltre alla ottima performance di Mark Arm vanno sicuramente evidenziati il bellissimo e curatissimo suono sfoggiato da Steve Turner e la bravura del batterista Dan Peters, decisamente appesantito rispetto a come lo ricordavamo nelle foto dei tempi d’oro, ma ottimo e potente esecutore. Più anonimo il bassista Guy Maddison, ma ha svolto degnamente il suo compito.
Il concerto dell’Alpheus ci ha restituito un gruppo in gran forma che ha ancora da dire la sua: i Mudhoney non hanno mai raggiunto la notorietà né la grandezza artistica dei più importanti gruppi di Seattle (Nirvana, Pearl Jam, Soundgarden, Alice In Chains), ma proseguendo nel loro cammino coerente e sincero ci dicono che lo spirito di quella breve e grande stagione di Seattle non è finito con la morte di Kurt Cobain.
Live report di Andrea Carletti
Le foto riportate nell’articolo sono di Sami Oinonen, Nick Helderman e Charlie Cravero