Ago 272017
 

Roma, Ippodromo delle Capannelle, 25 luglio 2017

★★☆☆☆

Marilyn_MansonE fu così che al termine della canonica vulgata populista giunse in quel di Roma anche il live del buon Marilyn Manson, dopo un battage mediatico durato un paio di settimane, dove a farla da padrone sono state le chiacchiere da bar sport sulla (presunta) trasgressione esercitata dal rocker sulla gioventù coeva. Il fatto stesso che i predetti adolescenti di oggi siano debosciati di loro o da falsi idoli come Internet non sfiora i benpensanti, visto che in provincia di Verona si è arrivati alle preghiere (!!!) per scongiurare l’evento. Roba da chiodi. Restando sul pezzo, ovviamente all’ippodromo delle Capannelle di satanassi e stregoni neanche l’ombra. Purtroppo, l’unica ombra è proprio quella del Manson che fu. Il non numerosissimo pubblico attende l’ingresso del divo Warner dopo l’opening affidato agli Charm the fury, e l’inizio non è malvagio, con l’estratto Revelation #12 del nuovo lavoro in uscita Heaven’s upside down, vera e propria tela di Penelope discografica attesa ormai da mesi ed ancora non pubblicata, a testimoniare la lentezza produttiva del Manson dell’ultima decade. Il punto è che Manson stesso è divenuto adulto: niente più pagliacciate sul palco, pantaloni di pelle e trucco facciale sono presenti senza eccessi, movenze da (quasi) cinquantenne maturo e distante anni luce da quell’immagine di traviatore che lo aveva consacrato come antidivo agli occhi di un paio di generazioni. Il punto è che rispetto al Manson maturo, fa da contraltare la presenza di un Manson decisamente asfittico, per non dire invecchiato. Innanzitutto la voce: quando il nostro alza lo scream, il brano successivo ne risente decisamente, come animale da palcoscenico siamo ai minimi storici ma ciò sarebbe il meno. Quello che risulta ai limiti dell’inaccettabile è relativo al fatto che il Reverendo si prenda una pausa di un paio di minuti tra un brano e l’altro, con lentissimi cambi d’abito e palco al buio, mentre i musicisti si producono in assolo sterili che poco impressionano i presenti. Inutile dilungarsi sulla scaletta, dalla quale spariscono sia la cover di Personal Jesus dei Depeche Mode che la storica Rock is dead, per non parlare di Antichrist Superstar, forse giudicata vetusta dallo stesso Brian. I classiconi stile The beautiful people o Dope show non mancano, come del resto l’ottima Sweet dreams di Eurithmicsiana memoria, ma certamente si tratta di poca cosa all’interno del contesto di un live dai tempi dilatati che azzerano quel po’ di adrenalina strombazzata ai quattro cantoni. La chiusura è invece affidata alla splendida Coma white, uno dei gioielli tratti dal capolavoro Mechanicals Animals eletto a momento conclusivo di una rappresentazione che non strappa la sufficienza e che faticosamente arriva all’ora e mezzo di durata. Al di fuori da qualsivoglia polemismo di facciata, risulta persino denigratorio dover recensire con simili toni la performance di un artista discutibile finché si vuole ma importante qual è Marilyn Manson, indubbiamente una delle realtà maggiormente interessanti succedute all’ondata grunge che ha dominato gli anni novanta, grazie alle tematiche affrontate (critica alla società, ai media, al buonsenso ossessivo) ed alle innovative commistioni tra industrial ed alternative che diverranno di lì a poco parte integrante del nascente fenomeno nu metal. Il Reverendo del resto si è gestito relativamente male nel corso degli anni per quanto concerne la vocalità, lontana parente dei live estremi d’inizio secolo, mentre artisticamente dimostra una certa sazietà in studio (vedere la gestazione infinita dell’ultimo lavoro) che inevitabilmente si ripercuote sulla resa dal vivo specialmente al cospetto dei brani recenti. Se a ciò aggiungiamo che le tematiche del Manson degli inizi, parche di critiche nei confronti della società, hanno trovato superamento dalla deriva attuale dei costumi dei tempi odierni, giocoforza un personaggio simile viene attualmente inquadrato come nemesi di un protagonista di horror da b- movie in confronto a quanto viene descritto nei resoconti dei quotidiani o dalle edizioni giornaliere dei Tg. Se tutto ciò riuscirà a descrivere Manson come fenomeno da baraccone mediatico a beneficio della rivalutazione del grande artista che è stato, il conto verrà saldato e le chiacchiere magari saranno definitivamente a zero. Ma sarà dura. Durissima.

Articolo di Fabrizio 82

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