Roma, Auditorium Parco della Musica, Cavea, 24 luglio 2013
Da Brooklyn, NY, torna a Roma il grande Marcus Miller, a cui l’aggettivo bassista sta quanto mai stretto e risulta riduttivo. Cresciuto alla corte di Miles Davis, per il quale ha suonato per anni e col quale ha composto le musiche di alcuni suoi album (‘Tutu’ tra i tanti) e composto la colonna sonora del film ‘Fiesta’, re dello slapping, ovvero di una tecnica di percussione e strappo delle corde di cui è maestro indiscusso, polistrumentista eccelso ma soprattutto alfiere del buon gusto e della sopraffina arte del saper calibrare il talento e la maestria nel costruire brani, creare melodie ed eseguirle con sapienza e senza eccessi.
Il virtuosismo al servizio del senso della misura e della fluidità e fruibilità dei brani da proporre. Ed anche questa calda serata romana ha confermato quanto espresso da Miller nella più che ventennale ed onorata carriera. Dopo l’iniziale ‘Panther’, ripescata dal vecchio “The Sun don’t Lie”, si passa alla proposizione di numerosi brani dal recente album “Renaissance” anche questo uscito per l’etichetta francese Dreyfus come molti della sua discografia. Ecco quindi il torrido funky di “Detroit” ed il groove di “Revelation”, e le due anime di “Jekyll & Hyde”, dall’inizio e dal finale ritmato ed un intemedio più Jazz da walkin’ bass alla Ron Carter. La band che lo accompagna è all’altezza della situazione, con il sassofonista Alex Han degno di menzione speciale.
Il brano che rapisce la folta platea è quello che dopo una lunga intro di piano, inizia con Miller non al fidato Fender Jazz, bensì al clarinetto basso, la splendida “Gorée” scritta dopo una visita all’omonima isola al largo del Senegal che ospita la Maison des Esclaves, ovvero la prigione dove venivano rinchiusi e divisi gli schiavi africani prima del viaggio transatlantico che li deportava in America. Marcus ha spiegato di aver voluto scrivere questo brano non solo per ricordare l’orrore della schiavitù, ma anche per identificare in quei luoghi ed a quell’epoca la nascita della popolazione afro-americana, volendo dare pertanto anche una lettura di speranza e di rinascita a quella sua visita così emozionante.
Dopo l’ennesimo sfoggio mai gratuito di bravura stavolta al basso fretless, il finale ha mescolato jazz, musica napoletana ed un omaggio a Bob Marley, ad ulteriore dimostrazione che le etichette non servono, esiste solo la buona musica e che esiste un sottile filo che unisce “Funiculì Funicolà” a “Get up, Stand up”. Tanto per rimanere in tema, il bis con una “Come Together” esplosiva e gioiosamente coinvolgente ha definitivamente sottolineato la grandezza di una proposta musicale di grande qualità al di là delle categorie e dei limiti delle classificazioni.
Recensione di Fabrizio Forno