Roma, Auditorium Parco della Musica, Sala Petrassi, 29 novembre 2010
Te le senti quasi vomitate addosso queste parole, grumi di rabbia e cinismo, dolente compiacenza, drammatica rassegnazione. Una colata di cemento che ti ingoia, contro cui non sai reagire; ti lasci ricoprire immobile, ti lasci scoprire inerte, indifeso. Recitati, più che cantati, versi crocifissi a braccia tese e capo chino, in un’immagine blasfema di questa realtà sacrificata, questo presente angusto e ingiusto. Lui è Vasco Brondi, giovane cantautore ferrarese, noto ai più come ‘Le Luci della Centrale Elettrica’ e questa è la sua musica. Una ipnotica nenia, come ragnatela in cui cadere. Parole a raffica, per ognuna un affondo nel fianco, per ognuno inferto un dolore. Si procede per immagini, pensieri frammentati, pericolosi come cocci di vetro taglienti, evocativi. Così si descrivono le storie di un quotidiano disappunto, di un vivere incerto, inquieto, precario. Come precari siamo noi, proiettati in un futuro inesistente. Ancorati ad un passato che si vorrebbe saldo e invece cede. “L’amore ai tempi dei licenziamenti dei metalmeccanici” è un’ode bellissima ai tempi che sono. Come un omaggio a Marquez, laddove l’epidemia non è il colera ma i licenziamenti ed i cieli non più azzurri, “coperti da copertoni bruciati”. Dilagano imperfetti (“e ti ricordi, i nostri sogni sfioravano i soffitti.. E ti ricordi, i nostri sogni sfondavano i soffitti”) e tracciano solchi di amara nostalgia, dentro cui si raccolgono assoli di violino su scarni accompagnamenti di chitarra. In tour per presentare l’ultimo album “Per Ora La Chiameremo Felicità” (La Tempesta Dischi, 2010), ecco Brondi e la sua sei corde elettrificata sul palco dell’Auditorium, Sala Petrassi, con una formazione di tutto rispetto. Enrico Gabrielli (Afterhours, Mariposa, Calibro35) alle tastiere e ai fiati, Lorenzo Corti alla chitarra e Rodrigo D’Erasmo (Afterhours) al v
iolino. “Una Guerra Fredda” apre la scaletta della serata, sullo sfondo di una scenografia essenziale e suggestiva. La facciata di un palazzo, alcune finestre illuminate, altre buie. Perché è uno scorcio di città che fa da scenario a tutte le vicende, che siano di non amore, di passione o di protesta. E “questa città non ci morirà tra le braccia”. Rimane di fondo un grigio costante, da periferie industriali, nuvole di smog, ‘spiagge deturpate’, parcheggi abbandonati, fabbriche, impalcature instabili. Così questa celebrazione di urbana decadenza, che pervade l’intera serata, si chiude con “Le Ragazze Kamikaze” (“E se gli alberghi appena costruiti coprono i tramonti tu non preoccuparti”, ultima traccia dell’ultimo album). Crollano pezzi di intonaco come crollano speranze, quasi un certo degrado ambientale altro non fosse che una manifestazione tangibile di un parallelo degrado sociale; “ti avrei portato a nuotare dove affondano le petroliere”. E, intanto, c’è spazio anche per molti brani tratti dal precedente lavoro (“Canzoni da Spiaggia Deturpata”, La Tempesta Dischi, 2008), tra tutti ‘Per Combattere l’Acne’ e ‘La Lotta Armata al Bar’ ed infine, in solitaria, c’è anche spazio per una cover degli Afterhours (“Oceano di Gomma”). Lo stesso Brondi sorride e si concede un po’ di autoironia: ‘questo brano che state per ascoltare –dice ogni tanto- non è molto diverso da quello che avete appena sentito’, come un’ammissione di colpa, come a voler confessare candidamente che in fondo è vero, non c’è poi tanta originalità negli arrangiamenti ed i pezzi un poco s’assomigliano tutti. Ma questa può anche chiamarsi coerenza, fintanto che il suo stile rimane inconfondibile e gli accordi sono solo volutamente una struttura, uno scheletro in cemento a sostenere pianti e sogni, parole lungo i bordi delle strade come 'petardi inesplosi da raccogliere'.
Recensione e foto di Rosa Paolicelli
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