Roma, Auditorium Parco della Musica, 29 Novembre 2011
In un autunno musicale romano quanto mai misero e privo di eventi di particolare rilievo, ci fa piacere sottolinerare la piacevole eccezione dei Lamb. che a pochi mesi dal loro ritorno insieme sulle scene sono tornati a calcare il palco della sala Sinopoli per confermare quanto di buono era già stato proposto lo scorso luglio nel corso del MIT. E la conferma è puntualmente arrivata, grazie ad un’alchimia davvero unica tra Andy e Lou, grazie ad un repertorio classico adeguatamente arricchito dai brani del recente ‘5’, album che prima dell’estate sancì il ripristino del sodalizio dei Lamb dopo cinque anni di progetti separati ed infine grazie alla complicità del pubblico presente, stranamente composto in maggioranza da coppie di coetanei dei due sul palco. Molte coppie si abbracciavano teneramente nel riconoscere i brani più celebri del duo, Gabriel e Gorecki su tutti. Operazione nostalgia? Voglia di riassaporare la colonna sonora della propria storia d’amore iniziata negli anni novanta? Chi può dirlo? Resta comunque evidente la sinergia creatasi tra palco e platea, soprattutto a partire dalla fine del brano d’apertura, il drum’n’bass di Another Language, quando una Lou Rhodes particolarmente pimpante invita i presenti ad abbandonare le rosse ma algide e distanti poltrone per accalcarsi sotto il palco e vivere più da vicino il concerto. Il recente CD domina la scaletta, affermando con vigore la qualità del lavoro compiuto dai due, consapevoli che gli anni di separazione avevano certamente depotenziato il loro valore artistico individuale, soprattutto nei lavori acustici di Lou, nei quali l’assenza del supporto elettronico di Barlow aveva privato la sua voce di un’indispensabile solidità, come ampiamente dimostrato dal live set presentato a maggio 2010 in perfetta solitudine, rivelatosi per l’appunto un po’ moscetto.
Basti pensare alla già citata Gabriel, che stasera ha davvero brillato nuovamente come un diamante, mentre allora sembrava l’espressione del più disarmante ‘vorrei ma non posso’. Si prosegue con il gioiellino pop-soul di Existential Itch, meno di tre minuti di groove intenso, egregiamente sostenuto dal solido contrabbasso del vecchio amico Jon Thorne. La magia della serata prosegue: il duo di Manchester ha il dono di proporre atmosfere uniche, che non appena rischiano di scadere nel consueto, nello scontato, nel banale o nel già sentito, improvvisamente scartano, fuggono in avanti scappando da clichè e classificazioni di comodo. Certo, il trip-hop ed il drum’n’ bass sono un riferimento, una riconoscibile base di partenza, ma il percorso musicale dei due è fatto di continui spostamenti, di cambi di tono improvvisi, in cui la delicata seppur profonda voce della Rhodes contrasta con il tappeto ritmico creato dalla campionatura e dai PC di Andy. E il bello è che i brani che più convincono sono proprio un paio di quelli estratti dal nuovo album, ovvero la crepuscolare She walks, la canzone che Kate Bush avrebbe potuto scrivere per Marianne Faithfull (o viceversa), e l’intensa e massiccia marcetta di Build a Fire, una vera scossa, una pompa di calore sparata a piena forza sul pubblico presente in sala. Entrambi i brani sostenuti da un supporto visivo molto efficace, una lezione di arti visuali e di come si possano ancora realizzare clips con gusto, idee ed originalità. I bis propongono la parte più energetica e vivace del repertorio dei Lamb, sopratutto nella conclusiva Transfatty Acid, che stasera perde tutte le sfumature Jazzy per venire proposta in una versione sanguigna al limite dell’hard rock (!) davvero sorprendente. Il concerto perfetto? Purtroppo no, a mio avviso far spendere 30 euro in questi tempi di crisi e quindi lasciare vuota un’ampia sezione delle poltrone della Sinopoli rappresenta una macchia che non può essere cancellata. Venti euro ed una sala sold out sarebbero stati gli elementi indispensabili per una serata a cinque stelle.
Recensione e foto di Fabrizio