Roma, Orion Live Club, 22 aprile 2012
Quando si superano i trent’anni di carriera, spesso una band si ritrova prigioniera del proprio repertorio “storico”, diventando, soprattutto in studio di registrazione, una sbiadita copia di se stessa (The Cure, U2). Altre ancora, cercando un rinnovamento, si trasformano, ma vengono fagocitate dalla moda corrente, facendo rimpiangere la loro primordiale natura (si pensi a tutti i gruppi che non sono rimasti indenni all’arrivo agli anni 80, Genesis in primis). Ma ci sono casi in cui una band si siede, riflette, e ascolta con attenzione l’ambiente circostante, estrapolando tutto ciò che c’è di buono da musicisti che non si trovano necessariamente in testa alle classifiche. Con umiltà si inserisce in una nuova scena musicale affidandosi non al portafoglio, ma alla propria testa e alle proprie orecchie, senza rinnegare le radici originarie. Pensiamo ai King Crimson e alla loro perfetta integrazione negli anni 80 accanto a band quali i Talking Heads, ma anche, in tempi più recenti, ai Tool (vedi l’album “The Power to Believe”, datato 2003).
E in questo sparuto gruppo di musicisti possono essere annoverati senza ombra di dubbio i Killing Joke. Il nuovo corso, iniziato nel 2003, ha mostrato una band arrabbiata e impetuosa come non mai, forte dell’immediatezza melodica degli esordi, unita a una pesantezza nel sound che non ha nulla da invidiare a band assai più giovani. E l’ultimo lavoro, “MMXII”, sembra, seppur con qualche sbavatura, confermare l’ottimo stato di salute di Jaz Coleman e soci.
La loro discesa nella capitale fa tappa all’Orion di Ciampino, un ex-discoteca trasformata in concert- hall da pochi mesi, con risultati non proprio esaltanti; ma andiamo con ordine.
Giunti sul posto riusciamo a sentire soltanto due brani della prima band di apertura, The Crying Spell, ed è meglio così. Il maggior punto di riferimento di questi quattro ragazzi sembrerebbero essere i terribili The Rasmus (ricordate l’hit-spazzatura “In the Shadows”?), e ovviamente ciò non rende molto a loro favore. Sapere poi che provengono da Seattle ci fa rimanere ancora più sbigottiti.
Unica nota positiva sembrerebbe risiedere nella loro umiltà sul palco (soprattutto del frontman), qualità che non sembra invece appartenere alla seconda band in cartellone, The Icarus Line. Il cantante vorrebbe fare il verso a Iggy Pop, ma con i sui capelli appena lavati e i pantaloni ben stirati fa pensare più a un Liam Gallagher qualunque. Lo spirito dell’iguana di Detroit è lontano da qui. La musica è ben più piacevole di quella precedente, ma solo perché il riferimento sono (ovviamente) gli Stooges. Ma anche qui, dopo un paio di brani (uno dei quali un plagio sputato di “1969”) preferiamo allontanarci in attesa della vera attrazione della serata.
Dieci minuti dopo le 23 dall’impianto del locale risuonano le note di Vangelis tratte da Blade Runner, seguite senza soluzione di continuità da quelle di di Jocelyn Pook incluse in Eyes Wide Shut. Guardandoci attorno il locale non sembra particolarmente colmo di gente, ma il nostro sguardo si sposta immediatamente sul palco sul quale i Killing Joke fanno il loro ingresso: Jaz Coleman alla voce, Kevin “Geordie” Walker alla chitarra, Martin “Youth” Glover al basso e Paul Ferguson alla batteria. I quattro sono accompagnati alle tastiere dal giovane Reza Udhin, dal look a dir poco irritante che stona non poco con quello della band. Ma il suo ruolo da musicista lo svolge egregiamente ed è lui, con il suo pad di tastiere, a dare inizio al concerto, suonando gli accordi di “Love Like Blood”, tratta dallo splendido “Night Time” (1985).
Il frontman è avvolto nella propria tutta mimetica, con i suoi occhi spiritati da zombie, risaltati da un massiccio uso di trucco nero. Una presenza e un carisma che dominerà tutto il concerto, ottimamente supportato da tutti i membri della band. La scaletta è sapientemente costruita, dedicando la prima parte del set alla riproposizione del nuovo album intervallato da brani pescati dal primo periodo: l’unica eccezione è “European Super State”, tratta dal penultimo album, “Absolute Dissent” (2010), che con il suo incedere tipicamente dance si rivelerà essere il momento più debole del concerto.
Le strutture di quasi tutti i brani dei Killing Joke seguono sempre uno schema piuttosto rigido: all’interno dello stesso pezzo è infatti molto raro trovare più di due cambi di accordi o riff, sporadicamente viene aggiunto un outro alla strofa e al ritornello. Ma è proprio questo incedere ripetitivo e ipnotico, unito a un utilizzo di linee vocali melodiche, incisive e mai banali, a caratterizzare il sound Killing Joke e a renderlo unico. La voce di Jaz Coleman sembra riassumere tutte le sfaccettature possibili di una band che può passare tranquillamente da sonorità pulite e emozionanti ad altre più violente e urlate.
E proprio la seconda parte del concerto, quella più rabbiosa, sarà quella più esaltante del live. Partendo da “Asteroid” e terminando con “Pssyche”, i quattro pesteranno gli strumenti con tutte le loro forze. L’impianto audio però, che già non brillava per limpidezza dei suoni nei brani precedenti, qui risulta indubbiamente inadeguato a un gruppo del genere, lasciandoci dubbiosi sul reale valore del locale nell’ospitare concerti (stessa impressione ci fece Il teatro degli orrori). Ma per fortuna tutto ciò non intacca più di tanto l’esibizione dei nostri che lasciano il palco tra gli applausi, risalendo poco dopo per eseguire due bis, l’inno “Wardance” e “Pandemonium”, forte di un riff degno dei migliori Deftones.
In poco più di un’ora e mezza i Killing Joke hanno dimostrato di essere più vivi e furenti che mai, vogliosi e intenzionati a tirare scherzi letali a chiunque gli si avvicini troppo. La messa a requiem in loro onore sembra davvero lontana.
Recensione di Federico Forleo
Scaletta
Love Like Blood
Requiem
European Super State
Sun Goes Down
Rapture
Fema Camp
Pole Shift
Chop Chop
Change
Bloodsport
Primobile
Asteroid
The Great Cull
Corporate Elect
The Wait
Pssyche
Wardance
Pandemonium