Lug 122009
 

Bari, Baia San Giorgio, 6 Luglio 2009

★★★★☆

slow4 [800x600].jpgIn una cornice di luna quasi piena a riflettersi su acque placide e tranquille, la sagoma di una batteria s’incastra con aste di microfoni, una sedia, due chitarre. Bari in riva al mare, Bari ad aspettare che queste due chitarre, a turno, vengano imbracciate dall’attesa Kaki King, nuovamente in Italia per un minitour estivo: quattro date appena tra Pistoia, Roma, Forlì per chiudere poi al Sud, Bari, appunto. Katherine Elizabeth King: trent’anni ad agosto e già finita, tempo fa, nella top50 dei migliori chitarristi al mondo, stilata dalla rivista ‘Acoustic Guitar’. Atlanta prima, New York poi, le città scenario del suo percorso musicale, che l’ha vista nascere come promettente batterista per diventare poi chitarrista originalissima e rivoluzionaria. L’amore per il ritmo si fonde presto, infatti, a quello per le sei corde, e la chitarra si fa strumento da percuotere, sfiorare e poi colpire ancora. Strumento inseparabile da portarsi dietro sempre, dapprima nella metropolitana di NY come artista di strada -così nasce Kaki King-, poi nei locali degli States fino a sconfinare in Europa e conquistare il pubblico oltreoceano. Fino a sedurre persino Sean Penn, che ha voluto i brani ‘Frame’ e ‘Doing the Wrong Thing’ contenuti nell’album ‘Legs to make us longer’ (Epic/SonyBmg, 2004), per la colonna sonora del suo ‘Into the Wild’. Indie, sperimentale, songwriter, difficile da classificare il suo modo di far musica; sicuramente shoegaze, quantomeno per il significato più antico dell’etichetta: shoegaze, per quel ‘guardarsi le scarpe’ dovuto agli effetti della chitarra sul pavimento con cui giocare di continuo, con gli occhi fissi al suolo. Bari, dicevamo, ad aspettare, finchè la figura minuta dell’artista non si fa avanti, sfoderando il suo sorriso migliore, mettendo a tacere i brusii. Due altri musicisti a condividere la scena in questa serata mite scampata ad un temporale annunciato: Dan Brantigan maestro dell’EWI, synth a fiato di nuova generazione, e Matt Hankle, batterista energico e fidato.slow1 [800x600].jpg La scaletta, prevalentemente strumentale, rispolvera in maniera abbastanza equa l’intera discografia, che conta in tutto quattro album dal 2003, più un EP in collaborazione con John Darnielle, 2008. L’approccio tecnico stupisce, lascia senza fiato quel modo disinvolto di suonare, giocare a rincorrere note. Si fatica a seguire le cinque dita della mano sinistra percorrere -o percuotere- la tastiera di una Ovation acustica, quasi fosse quella di un piano –o la pelle di un tamburo-. Brani come ‘Bone Chaos In The Castle’ e ‘Pink With Noise’ evocano sorrisi increduli e ammirati, per lo stile del tutto personale, magnetico, di produrre suoni premendo e pizzicando corde. Ai ritmi serrati si alternano però anche atmosfere più dolci e rarefatte, in cui a volte la voce è appena un soffio su arpeggi di chitarra elettrica come in ‘You Don’t Have To Be Afraid’.slow3 [800x600].jpg Una leggera virata verso sonorità più pop si scorge nell’ultimo lavoro ‘Dreaming of Revenge’ (Velour Recordings, 2008) e si assapora per esempio in ‘Life Being What It Is’ o ‘Pull Me Out Alive’ dove il cantato guadagna strutture consistenti ed importanza, per quanto brani interamente strumentali rimangano una componente centrale e irrinunciabile della King’s production. L’esibizione, prodiga di bis, si chiude con una preziosa e delicatissima ‘Please Please Please, Let Me Get What I Want’ sussurrata in assolo, omaggio ai cari Smiths, momento intenso e poeticamente forte, guardando il mare al di là delle sei corde accarezzate appena, a cui s’era intrecciato un fil di voce: ‘Good times for a change..’ in una notte di luna piena, o quasi.

Recensione di Rosae
foto di Rosa Paolicelli

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