Roma, Alpheus Club, 20 novembre 2009
Sette mesi dopo l’uscita del nuovo lavoro “Wavering Radiant”, uscito come i tre album precedenti per la Ipecac di Mike Patton, e due anni dopo il loro ultimo passaggio nella capitale, tornano a Roma gli Isis, importante band californiana capofila di un genere comunemente noto come “post-metal” o “post-hardcore”, e che lo stesso Aaron Turner, il leader della band, ha definito “thinking man’s metal”. Va detto che questo è un genere che, ispirato in origine dai lavori dei Neurosis e dei Godflesh e portato alla maturità da band come gli Isis stessi, gli svedesi Cult Of Luna o i finlandesi Callisto, negli ultimi anni ha smesso di rinnovarsi, continuando nella maggior parte dei casi a riproporsi con le stesse caratteristiche che lo avevano reso importante. In questo senso il nuovo album “Wavering Radiant”, così come il precedente “In The Absence Of Truth” del 2006, probabilmente non aggiunge nulla a quanto detto dagli Isis con i due capolavori “Oceanic” del 2002 e “Panopticon” del 2004, ma è comunque un disco solido, con alcuni brani davvero belli e un gran suono.
Il concerto è aperto dal duo inglese dei Transitional, che purtroppo non riusciamo a vedere (hanno iniziato almeno 45 minuti prima dell’orario dichiarato di apertura delle porte…), e Dälek, un duo di alternative hip-hop proveniente dal New Jersey, composto da MC Dälek e da DJ Oktopus. Può sembrare strano vedere accoppiati un gruppo metal e un duo hip-hop, ma nella famiglia della Ipecac è possibile, anzi normale, e Dälek non è nuovo a questi accostamenti, avendo seguito in tour band come i Melvins o i Godflesh. Una spiegazione sta nel fatto che la musica di Dälek riscuote consensi trasversali, anche fra coloro (come il sottoscritto) che non amano l’hip-hop, soprattutto in virtù delle basi di DJ Oktopus, un flusso continuo di suoni e rumori industriali e psichedelici, su cui MC Dälek canta con grande intensità.
Dopo aver provveduto da soli a sistemare i propri strumenti salgono sul palco gli Isis e la loro esibizione inizia con “Hall Of The Dead”, la traccia di apertura di “Wavering Radiant”. L’antifona è chiara ed è il tema portante di tutto il concerto: riff pesanti e potenti alternati ad atmosfere più dilatate, una grande stratificazione di suoni curata nel minimo dettaglio, e su tutto la potente voce di Aaron Turner, che affianca linee vocali più melodiche, con cui la musica assume dei toni più epici e sognanti, alla furia selvaggia del suo caratteristico scream. Essenziale nel suono della band è l’apporto del bassista Jeff Caxide, che nei momenti più potenti contribuisce all’enorme muro di suono creato dai cinque musicisti, mentre nelle parti più tranquille utilizza massicciamente gli effetti (soprattutto delay e tremolo) e crea degli interessantissimi intrecci con le chitarre di Aaron Turner e Mike Gallagher. Fondamentale è anche il ruolo di Bryant Clifford Meyer, che si divide fra chitarra e tastiera. Il batterista Aaron Harris, infine, anche se non precisissimo nei colpi, si mostra particolarmente efficace e con il suo stile asseconda perfettamente l’emotività dei brani.
Da “Wavering Radiant” sono estratti la maggior parte dei brani in scaletta: oltre alla già citata “Hall Of The Dead” vengono eseguite “Hand Of The Host”, “20 Minutes / 40 Years”, “Ghost Key”, probabilmente il miglior pezzo del disco, e “Treshold Of Transformation”, suonata in chiusura del concerto e in cui Aaron Turner si mette in luce per un eccellente lavoro con lo slide. È evidente in questi brani l’influenza di band più vicine ad un certo progressive, come ad esempio i Tool, con cui gli Isis hanno anche condiviso un tour, nonché del postrock à la Mogwai, specialmente nelle parti più soft e psichedeliche.
Non mancano però dalla scaletta brani estratti dai dischi precedenti, anche se gli Isis non si spingono più indietro di “Oceanic”, il disco con cui si sono distaccati dal metal industriale degli inizi, esplicitamente influenzato dai Neurosis (forse anche troppo) e comunque non del tutto digeribile, e hanno iniziato a dire davvero la loro, distaccandosi dai Neurosis e definendo le coordinate del genere di cui ora sono i massimi esponenti. Dal penultimo album “In The Absence Of Truth”, viene estratto il singolo “Holy Tears”, che inizia con un riff imponente e che sfocia in un ritornello maestoso con una grande intuizione melodica, cui segue un lungo intermezzo strumentale. Del capolavoro “Panopticon” viene scelto forse il brano migliore, “Wills Dissolve”, in cui le chitarre di Turner e Gallagher si legano magnificamente e l’accostamento, tipico degli Isis, di quiete, crescendo sinistro e furia finale è sintetizzato in maniera forse mai così perfetta. Unico bis, infine, “Carry”, tratta dall’altro capolavoro “Oceanic”, praticamente un manifesto della musica della band californiana, che raccoglie forse l’ovazione più grande da parte del pubblico.
Come al solito si poteva sperare in una scaletta più lunga e in una scelta dei brani più equilibrata fra i vari album ma il concerto dell’Alpheus ci ha mostrato una band in forma smagliante, che forse ha smesso di innovarsi e di innovare, ma che regala ai propri numerosi fan performance intense ed emozionanti.
Live Report di Andrea Carletti
foto di Magister