Mag 042012
 

Roma, Circolo degli Artisti, 24 Aprile 2012

★★★½☆

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Serata dalle tinte forti al Circolo degli Artisti: il Complesso di musica popolare romana de Il muro del canto presenta il proprio live set sanguigno, corposo e profondo come la voce del solista Daniele Coccia, un folk rock di spiccata ispirazione d’oltremanica costituito da composizioni originali (eccezion fatta per la cover de ‘Le mantellate’), spesso in dialetto, imbevute di essenza di sana tradizione romana miscelata con ruvidezza ed energia di forte impatto. Seguito da un nutrito gruppo di aficionados che cantano a memoria tutti i brani, il sestetto (coadiuvato dalla presenza al violino di Andrea Ruggiero di Operaja Criminale) si esibisce senza risparmiarsi, raccontandoci storie d’amore tragico, affrontando spesso il tema della morte, perché parlarne è allontanarla, esorcizzarla, esprimendo tutto il proprio disagio nel vivere in questa metropoli che sembra aver ormai perduto le speranze di salvare se stessa ed i propri abitanti, quasi imprigionati nelle contraddizioni delle sue strade, dei suoi palazzoni e delle sue periferie senza fine e senz’anima. I rimandi al Belli sono evidenti nei brani più smaccatamente anticlericali (Chi Mistica Mastica) mentre un esplicito omaggio al Pasolini di Accattone affiora nella bellissima e commovente Cristo de’ legno. Altrettanto suggestivo è il ricordo dei bombardamenti del ’43 di ‘San Lorenzo’ mentre lo sguardo sornione ed ironico che comunque sembra avvolgere tutto trova la sua massima espressione in ‘Ma quanto sete brutti’. Siamo di sicuro di fronte ad una nuova realtà del panorama indipendente romano, un ensamble che esprime sincera passione nella propria proposta musicale e sa coinvolgere il pubblico, trascinandolo con uno sguardo particolare ed originale tra i vicoli ed i cortili della loro invivibile, adorabile, accogliente, ostica, caotica, poetica, amata ed odiata città

A pochi giorni dal concerto del Circolo abbiamo intervistato Alessandro Fioravanti, percussionista e voce narrante de Il Muro del Canto.

Come possiamo definire la vostra musica, combat rock di periferia?
Questa è una definizione davvero originale…ma più che un aspetto combattivo evidenzierei la voglia di rivalsa, in una musica molto istintiva e dai testi molto sentiti, che provengono da un disagio verso ciò che ci succede intorno, l’amore e tante altre cose. E’ peraltro un riportare ciò che ci accade intorno. Quello he tu definisci combat rock altro non è che l’espressione di una nostra volontà di affrontare e provare a risolvere le cose in maniera decisa, a muso duro.

Il profondo legame con Roma, il vostro rapporto viscerale di amore ed odio per questa città sembrano caratterizzare la vostra cifra stilistica.
Certo, amore ed odio. Quel profondo sentirci a casa misto ad una strana volontà di andare via; le sue contraddizioni ce le abbiamo sempre davanti, ma si tratta di una città che comunque ti strega e ti accoglie sotto la sua ala protettrice. E’ giusto e profondamente vero parlare di Mamma Roma, che ti coccola e ti porta, per lo meno per ciò che ci riguarda, a respingere la voglia di scappare. E’ ovvio che nelle canzoni ci viene più naturale parlare delle difficoltà nel vivere qui, piuttosto che delle cose che ci stanno bene. Finché non scrivi qualcosa non puoi liberarti delle cose che ti angosciano, che ti fanno star male, che ti preoccupano, e sicuramente Roma di spunti te ne offre tanti. Anche se poi probabilmente a prescindere dal luogo dove si vive, le persone almeno qui in Italia non sembrano essere in generale soddisfatte della propria condizione, ovviamente con peculiarità e caratteristiche più specifiche legate alla situazione locale.

Alcuni vostri brani hanno una forte impronta anticlericale, molto forte nella tradizione popolare romana, basti pensare ai sonetti del Belli.
La presenza del Vaticano è piuttosto ingombrante a Roma, ma credo che anche la piccola chiesa di paese possa essere altrettanto invadente; l’istituzione clericale è davvero presente sul territorio e l’ingerenza si avverte nelle scuole e nella nostra società in genere; di conseguenza si sviluppa, come è accaduto a noi, un senso di rifiuto, che diventa una delle grandi tematiche che affrontiamo, proprio perché la sentiamo davvero come una fonte di forte disagio.

Il vostro recente primo album è composto di ben 16 brani, ma avete pronte molte altre vostre composizioni, peraltro già presenti nella vostra scaletta dal vivo. Da dove nasce questa prolificità, questa energia creativa?
In effetti anche se il disco è uscito da circa quattro mesi, abbiamo pronto sufficiente materiale per un secondo album. Vivere in un luogo dai forti stimoli, sia positivi che negativi crea quest’urgenza creativa. Inoltre il bel feedback, il rapporto con la gente che assiste ai nostri numerosi concerti ci ha portato un entusiasmo che ci spinge ad avere una produzione artistica così intensa. I tempi di realizzazione e registrazione di un album, di produzione e promozione sono comunque lunghi, quindi pur avendo molti brani già disponibili non pensiamo che un nostro nuovo lavoro possa vedere la luce prima degli inizi del 2013. Il disco non è però che un punto importante ma non fondamentale nel nostro percorso, mentre riteniamo più significativa, decisiva e stimolante la dimensione live. La curiosità sarà quella di portare il nostro progetto sempre più fuori da Roma per provare a diventare nel resto del paese una realtà musicale riconosciuta, così come è avvenuto nella nostra città, quindi di lavoro da fare ce n’è tanto, chilometri da macinare, praticamente siamo solo all’inizio…

Roma è sempre più multietnica, pensate quindi in futuro di contaminare le vostre sonorità con quelle provenienti da altre culture presenti in città, ovvero ad elaborare un folk più aperto alla world music?
In realtà ciò già accade, il nostro album non è chiuso all’interno della musica popolare romana, non è un disco di stornelli, ma offre contributi musicali di diverse estrazioni, da bluesmen a trombettisti di brass-band, alla presenza di vibrafono ed organetto. Sono sicuro che ciò avverrà in misura sempre maggiore, anche perché siamo tradizionalmente e culturalmente abituati a questo tipo di contaminazioni e non vogliamo di certo fossilizzarci nell’attuale ambito musicale.

In occasione del recente record store day è stata pubblicata in vinile la compilation ‘Mamma Roma Addio’ che vi vede protagonisti insieme ad altre band di estrazione similare alla vostra, come gli Ardecore e la BandaJorona, quali sono i rapporti con loro, c’è stata collaborazione?
Sicuramente ci lega amicizia, rispetto ed stima. La definizione ed il progetto di questa compilation sono avvenute attraverso una serie di chiacchierate ed incontri insieme, bevendo vino e scambiandoci idee. Giampaolo (Felici, leader degli Ardecore, n.d.r.) è un musicista con cui è capitato spesso di confrontarci, con cui abbiamo un bel rapporto. Tra l’altro la compilation presenta un inedito proprio degli Ardecore, Passione romana, in cui collaboriamo sia alcuni di noi del Muro del Canto che elementi della BandaJorona; ciò testimonia la stima reciproca e soprattutto la comune intenzione di non voler proporre una semplice operazione commerciale, ma la precisa volontà di dichiarare senza però prenderci eccessivamente sul serio quale sia la nostra idea di musica da proporre oggi a Roma.

Recensione, foto ed intervista di Fabrizio Forno

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