Roma, Teatro Piccolo Eliseo, 6 giugno 2009
Giovanni Pastrone, il grande autore del capolavoro del cinema muto Cabiria, ha donato al Museo del cinema di Torino, che ne ha curato il restauro, la copia originale del film del 1915 Il Fuoco, altra sua grandiosa opera abbreviata notevolmente dai colpi della censura del tempo, cui sembra abbia collaborato anche Gabriele D’Annunzio, circostanza in realtà mai accertata.
I Giardini di Mirò, originalissimo gruppo indie dell’Avanguardia italiana che una descrizione alquanto riduttiva potrebbe definire orientato al Post Rock, hanno musicato su richiesta del Museo le immagini di questo capolavoro, mettendosi con grande dedizione al servizio di esse e regalandoci un’ora di grande suggestione e di poesia autenticamente visionaria.
Questa storia estrema di incantamento e di passione inizia con La Favilla: in questa parte si narra dell’incontro tra una aristocratica poetessa (Pina Menichelli) e il pittore misconosciuto Mario (Febo Mari), che dopo averla conosciuta non riesce più a dipingere, rapito dal suo fascino. La band accompagna le immagini con suggestivi arpeggi chitarristici e soprattutto con una dolcissima linea di violino, il tutto miscelato ad un tappeto vocale usato come fosse uno strumento elettronico.
Successivamente, al fine di rappresentare lo spasimo dell’attesa del primo appuntamento, l’ensemble sviluppa una più aspra trama di chitarre, aggiungendo una cassa in quattro che emette suoni fortemente metallici.
La Vampa rappresenta lo sviluppo della passione tra i due protagonisti: il pittore, felicemente innamorato, si trasferisce con la sua amata in un castello che diventa il loro nido d’amore; la sua creatività esplode e le sue opere vengono grandemente apprezzate. I Giardini di Mirò raggiungono in questa fase un’intensità sonora che sfiora la perfezione: percussioni fortemente ossessive si fondono con un violino ispirato ad avanguardistiche linee melodiche, che all’unisono con l’esplosione di chitarre distorte determina nello spettatore una sorta di magico e psichedelico incantamento. Rumore e visionaria poesia delle immagini filmiche, intrise di decadente Romanticismo, si fondono mirabilmente, all’unisono con la capacità melodica del violino, che ricorda la meraviglia delle performances dei Tuxedomoon, oltrechè le splendide divagazioni elettroacustiche dei Mogwai, per altri versi anche la potenza compatta e melodica del Kraut Rock degli anni settanta.
La Cenere narra la fine della passione, il ritorno della donna dal marito, l’affannoso tentativo del pittore, ritornato alla piena crisi creativa, di ripresentarsi a lei che finge di non conoscerlo e la successiva perdita del sé cosciente da parte dell’uomo, che finisce drammaticamente internato in manicomio. La musica diventa cupa ed opprimente, loop elettronici e pianoforte distorto descrivono mirabilmente la perdizione, la sconfitta della passione e della vita.
Una straordinaria performance, una perfetta fusione con le immagini di questo potente e romantico capolavoro, che riportano I Giardini di Mirò, autentici scultori di suono, alle loro origini creative del magnifico esordio, l’album The Rise and Fall of Academic Drifting, che alternava atmosfere evocative di passaggi d’incubo a immaginifici squarci di luce. Ciò conferma quanto da tempo andiamo sostenendo: ai margini del mercato italiano vivono realtà musicali vivissime come questa, misconosciute ma poeticamente visionarie, capaci di conferire alla scena indie quel quid di autenticamente alternativo che solo poche menti libere sono purtroppo capaci di apprezzare, al di là dell’opprimente censura del mercato.
Recensione di Dark Rider
Foto di Magister