Roma, Auditorium della Conciliazione, 20 febbraio 2013
La prima tappa romana dell’Apriti Sesamo tour del maestro Franco Battiato non delude le attese, in un Auditorium della Conciliazione che riserva il consueto sold-out per la performance dell’artista siciliano, nuovamente nella capitale per proporre quattro date (appunto dal 20 al 23 febbraio) a distanza di un anno dall’ultima apparizione nella città eterna. Accompagnato dalla consolidata formazione allargata comprendente un quartetto d’archi, Battiato divide concettualmente lo spettacolo in due tranche ben distinte.
Nella prima parte viene proposto quasi integralmente l’ultimo lavoro Apriti Sesamo, con momenti molto coinvolgenti come Testamento e Caliti Junku, entrambe nettamente superiori nell’esecuzione dal vivo in confronto alle rispettive versioni studio al pari del primo singolo Passacaglia, contenente il Battiato-pensiero attuale e rinforzato dall’eccellente resa del pianoforte che puntella un brano meno scontato di quello che le rime in esso contenute sembrerebbero suggerire. Una delle “chicche” della serata, è rappresentata dall’esecuzione di un estratto dell’opera concept Telesio, dedicata al filosofo cosentino (1509-1588) e realizzata da Battiato su libretto redatto da Manlio Sgalambro, il tutto messo in scena con la tecnica futuristica dell’ologramma a riproporre le movenze di una danzatrice e di una coppia di ballerini orientali che “fluttuano” sulle note declamate dallo stesso Battiato. Conclusosi questo ipotetico “primo tempo”, inizia la riproposizione dei numerosi cavalli di battaglia dell’artista siculo, con brani come Prospettiva Nevski e La Stagione dell’amore a menare le danze ed un Battiato che scherza col pubblico dimostrando di divertirsi, dando fondo al proprio vastissimo repertorio, alternando pezzi quanto mai attuali come Up patriots to arms agli stralci di lirismo sublime de’ Lode all’inviolato, con la magia di E ti vengo a cercare che, unita all’immancabile La Cura, rappresenta uno dei momenti di maggiore intensità dell’intera serata. Tutto va per il meglio, il pubblico si dimostra entusiasta e davanti ad un Battiato rockeggiante l’atmosfera si trasforma, così a poco a poco buona parte dei presenti abbandona le poltroncine rosse precipitandosi sotto il palco, per ascoltare i brani da vicino e magari scattare qualche foto e stringere la mano al maestro. Altro momento topico della serata, l’ingresso del fedele moog che ha accompagnato il Battiato sperimentale della parte centrale degli anni ’70: per l’occasione, il cantautore ripropone uno strepitoso medley formato da Da Oriente a Occidente, Aria di Rivoluzione (da Sulle corde di Aries, 1973) e Propriedad Prohibida (da Clic, 1974), con i musicisti a sorreggere le sonorità del VCS 3 tanto caro all’artista, riportando i più anziani ai fasti della mitica fase prog-sperimentale, saziando nel contempo gli appetiti dei più giovani che conoscevano il Battiato seventies unicamente dai solchi dei vinili dell’epoca o dalle ristampe dei CD coevi. E poi ancora, disseminati qua e là, estratti più o meno recenti come Il Mantello e la spiga alternati a vere e proprie perle scarsamente riproposte negli anni, come la splendida Mesopotamia, contenuta nel primo live ufficiale Giubbe Rosse (1988) o Nomadi (introdotta nell’occasione dalla chitarra classica) oltre a pezzi marcatamente rock come gli inossidabili L’Era del cinghiale bianco e Voglio vederti danzare. A chiudere una serata pressoché perfetta, il classico Stranizza D’Amuri, prima dell’ovazione finale di Cuccurucucù, cantata dal pubblico a squarciagola che applaude un Battiato in forma smagliante, congedatosi dopo oltre due ore di spettacolo. Tecnicamente ineccepibile, il canovaccio del concerto ripaga in pieno le attese, raffinando a dovere i difformi palati dei presenti: grazie all’eccellente vena dei musicisti che accompagnano l’artista, la serata scorre via procedendo per accumulo, raggiungendo il proprio apice nella parte centrale della kermesse, con l’inizio dei brani più conosciuti del Battiato remoto, ossia quello più amato dai presenti che preferiscono le emozioni stile La Cura a qualche lungaggine intellettualistica dell’ultimo Apriti Sesamo. Detto questo, ogni concerto di un artista del calibro di Franco Battiato rappresenta un evento nell’evento: difficilmente qualche nota “stona” dal “coro” sapientemente costruito dalla triade musicisti-Battiato-pubblico. Qualcuno preferirà i sussurri stile E ti vengo a cercare, qualcun altro raggiungerà il proprio zenit con i rigurgiti elettronici del medley sperimentale sopra descritto, ma in qualsiasi caso un concerto di Battiato resterà sempre uno degli appuntamenti da segnare sul calendario di ogni appassionato di quella branca della musica italiana che chiamiamo, talvolta con un certo imbarazzo, pop.
recensione di Fabrizio ’82