Roma, Init, 20 gennaio 2009
Nel giorno dell’insediamento alla Casa Bianca di Barack Obama, è stato sicuramente straniante e destabilizzante passare dalle immagini televisive di una Washington tutta stretta attorno al suo nuovo condottiero, con tanti celebri artisti pronti ad avvicendarsi commossi sul palco in una celebrazione tanto attesa quanto imbalsamata, al concerto romano dei Fleshtones, se vogliamo l’altra faccia degli USA, quella dei ‘dropouts’, dei non catalogabili, di quelli fuori dagli schemi, dai sondaggi, dai servizi giornalistici dei network televisivi.
Come sempre accade, anche all’Init c’era un banchetto col merchandising della band, ed oltre alle solite T-shirts, ai CD ed alcuni vinili, faceva bella mostra di sé la biografia della band, intitolata ‘Sweat’, il cui sottotitolo ben sintetizza lo spirito che ha animato la carriera dei Fleshtones: ’30 anni, 2000 show, mai in classifica’.
Dopo aver assistito all’esibizione dei ‘The Others’, band romana di puro beat sixties chiaramente ispirata agli Animals, ai Kinks ed ai primi Who, che si è ben comportata nonostante i numerosi problemi tecnici patiti dal chitarrista, dopo un cambio di palco condizionato dalla totale assenza di roadies in cui tutti i musicisti si avvicendavano affannosamente a smontare, rimontare, spostare strumenti ed amplificatori vari, ben oltre la mezzanotte sale sul palco la band newyorchese capeggiata da Peter Zaremba.
Gli anni che passano ne hanno segnato i volti ma non ne hanno intaccato né lo spirito né l’energia: dopo un inizio un po’ incerto, ecco che il concerto prende quota, spaziando nel repertorio dei quasi venti album, ma principalmente costituito da quelli del recente ‘Take a Good Look’ uscito nel 2008.
Non è facile spiegare a chi non era presente cosa sia accaduto in più di un’ora e mezza di spettacolo senza interruzioni e senza respiro; può bastare forse raccontare di aver visto bassista e chitarrista scendere dal palco, consegnare i propri strumenti a due spettatori, con il tacito invito ad usarli per accompagnare il batterista restato sul palco, farsi largo in platea ed ingaggiare una gara di flessioni sul pavimento. Oppure riferire che Zaremba, anche lui sceso a più riprese in mezzo al pubblico, ha iniziato un assolo di armonica utilizzando sia il proprio microfono sia il cellulare di uno spettatore che probabilmente sollecitato dalla particolare atmosfera della serata, ne stava facendo la cronaca telefonica ad un amico lontano. Oppure che Keith Streng, il chitarrista/atleta, dopo le flessioni è salito in piedi sulla grancassa del batterista e, allungando a dismisura l’asta del proprio microfono, ha continuato per un po’ a cantare da lassù.
Signore e Signori ecco a voi il Rock’n’roll Circus, senza costumi né effetti speciali alla Flamin’ Lips, solo divertimento allo stato puro, niente fronzoli né particolari messaggi da lanciare. I brani si sono succeduti senza soluzione di continuità, alternando punk, garage rock, surf music alla Beach Boys della East Coast, Rockabilly venato di R&B, il tutto suonato con un approccio scanzonato e con l’aria di non volersi prendere troppo sul serio.
Senza timore di smentita, possiamo affermare di riconoscere nei Flashtones i sinceri portatori del vero spirito punk americano: l’abbattimento reale delle distanze tra musicisti e pubblico che stasera si è manifestato in maniera così palese ne è la prova più evidente.
Questi giovanotti ormai un po’ attempati sono in giro dal 1976, quando condividevano il palco del leggendario CBGB di New York con Patti Smith, Ramones, Talking Heads e compagnia cantante; contrariamente ai loro illustri colleghi, però, non sono mai usciti dalla nicchia nella quale si sono da subito sistemati, un po’ per scelta di vita, un po’ perché il genio e la sregolatezza che da sempre li contraddistingue a volte non consente il raggiungimento del pur meritato successo.
Con la netta sensazione di aver partecipato più che ad un concerto piuttosto ad un party degno del gruppo Delta di Animal House, con le orecchie ancora piene del penetrante organo Farfisa strimpellato da Zaremba, sfiniti dall’enorme dispendio di energie e dall’ora tarda (l’una e mezza passata, che fatica alzarsi il mattino dopo……), torniamo a casa soddisfatti e convinti di aver assistito ad uno spettacolo di pura evasione, ma certamente unico nel suo genere.
Recensione by Fabrizio