Roma, Wishlist Club – 13 aprile 2019
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Sabato sera romano, piccolo cult in quel di San Lorenzo. La programmazione del Wishlist si arricchisce di mese in mese, e l’ospitata di Fausto Rossi diventa un po’ la ciliegina sulla torta di questo aprile sonoro capitolino. Già, Fausto Rossi. Ossia Faust’O. Almeno fino al 1992, anno di grazia nel quale il cantautore friulano decise di tornare ad utilizzare il proprio nome di battesimo, (ri)suscitando un rinnovato interesse attorno alla propria figura in occasione della pubblicazione del disco Cambiano le cose. Difficile tracciare un profilo esaustivo di Faust’O Rossi in una manciata di righe. Eccentrico, paranoico, un po’ filosofo metropolitano ed ancor più eremita dello star-system, polistrumentista emerso dal mare magnum del post-punk e fautore di una wave personale e provocatoria, amante del cantautorato statunitense e musicista incapace di raggiungere compromessi in grado di permetterne una maggior fruibilità alle orecchie del pubblico, Faust’O resta indubbiamente un personaggio controverso ed alieno rapportato al contesto nel quale si muoveva la canzone italica degli anni ’80, con all’attivo un passato di produttore come nel caso del bellissimo Lungo i bordi dei Massimo Volume, altro episodio risoltosi con frecciate reciproche tra lo stesso Rossi ed il leader Mimì Clementi (ascoltare il brano Fausto del 2013… dedicato indovinate a chi…) che proseguono a distanza di anni, a testimoniare quanto la complessità di Faust’O ne abbia impedito il definitivo salto di qualità all’interno dell’industria discografica. Lo status di “inafferrabile” incarnato dall’artista nativo di Sacile a livello pubblicitario si è fatto sentire: in questo sabato sera romano il locale è quasi al completo, a dimostrare quanto la stima ma anche la curiosità (specialmente per chi non lo conosce abbastanza) sia presente nei confronti di un songwriter così fuori dagli schemi. La serata inizia con l’opening di Lili Refrain, artista romana che si esibisce senza l’ausilio di computer e affini, ma in grado di riprodurre un intero repertorio orchestrato, suonando la chitarra e registrando effetti sonori riproposti live in sovraincisione, creando interessanti tappeti di matrice psichedelica frammisti a vocalizzi con spunti folk oltre a rigurgiti elettronici di derivazione ambient, il tutto a forti tinte sperimentali che a tratti rischiano di eccedere ed appesantire l’insieme, non intaccando comunque una proposta di livello tecnicamente eccelso e lontanissima da ammiccamenti commerciali. Terminata l’esibizione di Lili Refrain, arriva finalmente sul palco Faust’O Rossi. Flemmatico, camminata incerta, si siede e litiga subito con il jack della chitarra. Poi imbraccia lo strumento ed attacca Tu non lo sai, con quel po’ di ruggine vocale che crea qualche problema di approccio nell’intonazione. I fasti di Suicidio o Poco Zucchero sono lontanissimi, numerosi invece gli estratti da Exit (1997) come Ora che ho visto o Sotto la pioggia al mattino, mentre l’attitudine cantautorale di matrice anglofona sfoggia le riproposizioni di brani quali Everyone, The close watch e Don’t cry, tra qualche accordo dimenticato (per stessa ammissione di Fausto) ed i testi che il nostro fatica a reperire all’interno del faldone appoggiato sul leggio. Durante la serata Fausto trova il tempo per dialogare col pubblico tra il serio ed il faceto, prima di rispolverare la splendida Troppe canzoni, anch’essa contenuta come la successiva Perché il mio amore in quel capolavoro datato 1995 che fu L’erba. La serata scorre via piacevolmente, la resa live non è ovviamente impeccabile e qualche lungaggine viene perdonata da un pubblico comunque appassionato e partecipe che resta fino alla conclusione, celebrata da Stars prima che, dopo lunga ricerca (ancora tra i fogli contenuti nella “misteriosa” cartella dei testi) Fausto Rossi dia la buonanotte ai propri astanti con una straordinaria lettura tratta dai Racconti dell’Interzona di William S. Burroughs, sugello metempsicotico di una serata che riunisce l’animo visionario dell’artista raffrontato al mutamento della condizione culturale odierna, sorta di morphing sociale che non ha risparmiato neanche i tumulti che occupavano la mente del Faust’O di trent’anni prima. Un concerto di Fausto Rossi, del resto, è un evento di per sè raro. Ma è, nel suo piccolo, pur sempre un evento. Difficile formulare un giudizio univoco riguardo la performance di un personaggio così sfuggente, anacronistico per qualcuno ma al tempo stesso assurto ad artista cult per i reduci della medesima generazione, sopravvissuto ed al tempo stesso fiaccato dagli stravizi di un periodo storico nel quale l’underground sembrava muoversi su un campo minato, ma chi decide di assistere ad un concerto di Fausto Rossi non lo fa di certo per acclararne i virtuosismi (chiaramente assenti in toto) o per esaminarne le stonature (presenti) oppure i (ripetuti) passaggi a vuoto. Non importano i voti o i giudizi di sorta. Conta solamente la volontà di presenziare ad una rarità, ovvero un live di un cantautore spesso sottovalutato e per taluni misconosciuto, ma soprattutto per rendere il doveroso omaggio a colui che ha vergato vere pennellate di sentimento e di erotismo, mettendo in musica un gioiello come Chiudi gli occhi (la vita è un sogno) nell’ormai lontano 1995, un artista profondo che ha prodotto una decina di lavori oggi tutti o quasi fuori catalogo senza curarsi mai di raggiungere il successo. E scusate se è poco.
Recensione di Fabrizio ‘82