Londra, Union Chapel, 22 Novembre 2012
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Se avevo bisogno di un’ulteriore riprova della cronica arretratezza culturale che devasta il nostro paese anche (se non soprattutto) dal punto di vista dei concerti, ne ho avuto puntuale ed inesorabile conferma in questa sortita londinese.
Un concerto ‘low profile’, di una pop-rock band dal probabile radioso futuro mi dimostra quanto l’Italia (tranne qualche rara eccezione) sia ancora all’età della pietra. Location deliziosa-una chiesa che affianca messe e battesimi ad un’intensa attività di concerti rock e musica sacra con la quale si autofinanzia alla faccia dell’otto per mille-un’organizzazione meticolosa, tipicamente british -prevendita online con biglietto acquistato in tre minuti, l’attesa del pubblico ordinatamente in fila sul marciapiede all’esterno della chiesa nonostante il sold-out e la frenetica richiesta di altri biglietti last minute, apertura porte esattamente alle 19, supporting act (i gradevoli ed onesti Eyes and no Eyes) alle 20, Fanfarlo alle 21, fine esibizione alle 22.30 in punto- più in generale la percezione che assistere ad un concerto dal vivo, piuttosto che una montagna da scalare tra mille difficoltà ed ostacoli, qui sia una piacevole consuetudine da degustare, quasi da centellinare come una buona tazza di tè.
Tale paragone non faccia pensare ad una serata ‘moscia’, o ad un concerto poco coinvolgente, tutt’altro. Qui si vuole sottolineare il diverso approccio che caratterizza il modo di concepire e realizzare i concerti al di là della Manica. Il rispetto degli orari, delle esigenze del pubblico (una caffetteria a buon mercato allestita all’interno della sacrestia, ad esempio), il conforto di un ambiente accogliente non significano snaturare la natura e la sacralità del rituale di un concerto rock.
Terminata questa doverosa introduzione, eccoci al live report vero e proprio. Dicevamo degli Eyes and No Eyes, gruppo spalla che sposa atmosfere intime da new acoustic movement con la voce del cantante Tristram Bawtree che ricorda alla lontana i Kings of Convenience a sonorità più new wave inizio anni ottanta. Un suono compatto e solido, dovuto ad un drumming particolarmente creativo sorretto da linee di basso ossessive e distorte, addolcite da un violoncello puntuale e caratterizzante e che vira allo psichedelico. Cinquanta minuti che scorrono via piacevoli e che ben si integrano con le atmosfere gotiche ed ipnotiche del luogo.
Alle nove in punto ecco salire sul palco Simon Balthazar con i suoi Fanfarlo. Il concerto di questa sera, l’ultimo previsto per il 2012, avviene in una pausa nelle registrazioni del nuovo album, il terzo della band. Questa è un’occasione per collaudare dal vivo alcuni dei nuovi brani oltre che per riabbracciare vecchi amici come in una felice rimpatriata. Scesi dal palco, i Fanfarlo si chiuderanno infatti nuovamente in sala per completare i brani del nuovo disco.
Il pop rock raffinato ed energico proposto è un giusto mix di motivi accattivanti, ritmiche vivaci quasi dancerecce, melodie sinuose ed avvolgenti. Gli arrangiamenti anche dal vivo appaiono ben calibrati e sapienti, soprattutto nel sapiente uso dei fiati (tromba e sax). Le capacità di costruzione delle canzoni è sicuramente superiore alla media, anche se certamente debitrice dei Talking Heads di True Stories, (Comets e la finale Harold T.Wilkins). Il cantato di Simon emerge e si staglia, favorito dall’ottima acustica della sala, al punto di convincerlo a salire sul pulpito di marmo, pastore laico che recita una gioiosa omelia per l’esecuzione della divertente Deconstructions.
Immaginate gli Arcade Fire che riducono la strumentazione al minimo sindacale unita al canto di Lloyd Cole ed avrete una vaga idea della musica dei Fanfarlo. Non tutto è di grande livello, un paio di brani risultano un po’ noiosi, soprattutto l’inutile e melensa A Flood. In generale, però, per tornare al discorso iniziale, ce la sognamo qui da noi una pop-rock band nostrana di questo calibro e di questo spessore. La considerazione finale riguarda i nuovi brani, che sembrano funzionare davvero bene e lasciano ben sperare sul futuro della band, che speriamo di vedere in Italia nel corso del tour promozionale del disco in fase di ultimazione. Ça va sans dire, mezza stella in più per la scelta della Union Chapel, luogo davvero magico ed autentico valore aggiunto della serata.
Recensione e foto di Fabrizio Forno