Gen 162013
 

Roma, Auditorium Parco della Musica, Sala Petrassi, 14 gennaio 2013

★★★★☆

Raccontando di un suo incontro cruciale con Sergio Bruni (1921-2003), uno dei più importanti cantanti napoletani, Enzo Avitabile ha svelato – nel corso del suo concerto romano all’Auditorium – un aspetto chiave della sua arte. Al giovane Enzo, che si era trovato per pochi minuti al cospetto di quello che considerava un monumento vivente alla canzone, Bruni spiegò che il segreto, per un cantante di successo, sta nel rapporto tra parole e musica. Se sai mettere bene insieme delle note, ancora non hai fatto niente. Se hai delle buone parole, ma sei stonato, nessuno può darti retta. Ma se riesci ad unire belle parole a buona musica, allora sei il cantante perfetto. Più o meno disse così.
Enzo Avitabile sembra aver adottato quel consiglio come proprio principio guida, perché, quando canta, scandisce molto bene le parole, come se stesse dicendo, ogni volta, le cose più importanti del mondo. Alla fine non si capisce molto ugualmente, perché anche la lingua che usa, come la sua musica, non concede troppo al facile ascolto, preferendo una filologica adesione a quanto la tradizione ha tramandato nella sua terra natia. E il tono assertivo del suo canto risulta alla fine molto affine al rigore che ha sempre perseguito, nel corso di una carriera che non lo ha mai portato sulla prima linea del successo.
Avitabile non concede molto neanche sul palco della sala Petrassi, ignorando quasi del tutto il suo ultimo successo, Black Tarantella. Tutta la serata è infatti incentrata sui pezzi contenuti nel film Enzo Avitabile Music Life, girato dal regista Jonathan Demme, diventato fan sfegatato del sassofonista partenopeo. Dunque ne viene fuori una sorta di rivisitazione antologica di parte della carriera, dalla collaborazione con Mory Kanté a quella con i Bottari di Portici.
Il musicista si presenta sul palco, dal primo minuto, dotato di pentarpa, una specie di chitarrina di origine romana, che lui stesso ha ricostruito. Il resto è tutto un fiorire di elementi tradizionali, dalla tammuriata alla villanella, sempre rivisitati con lo spirito del rhythm’n blues. E pure se sceglie le sue note dalla scala napoletana – che è assai simile a quella araba, ma diversa dalla scala naturale – si capisce che il suo modello è sempre James Brown. Ma con molte pennellate di colore africano. Come la sua giacca grigia, sulla quale è innestata una grande pezza multicolore.

Recensione di Paolo Subioli

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