Roma, Sala Santa Cecilia, Auditorium, 12 Settembre 2010
Va bene il buio, così suggestivo. Passino pure quelle insolite lampadine a mo’ di ceri funebri, a circondare la band. Vanno bene, anzi benissimo, i giochi di luce: fasci sapientemente proiettati a fendere l’aria della sala Santa Cecilia dell’Auditorium, Roma. Ma.. ma i Blonde Redhead dov’erano? Dov’erano loro mentre ‘qualcuno’ suonava svogliatamente i loro pezzi? Sulla scena indie-rock da quasi vent’anni (risale al 1993 il loro primo omonimo album, prodotto dai Sonic Youth), i gemelli italo-americani Pace e l’eterea Kazu Makino hanno di recente portato a termine il loro ottavo album, Penny Sparkle (4AD, 2010). Il tour attuale, com’è facile immaginare, era dunque volto alla promozione spietata del suddetto. Risultato: un susseguirsi di basi campionate e docili chitarre, tastiere electro-pop scandite da ritmi accattivanti in loop. La scaletta si apre con ‘Black Guitar’, chè si capisca subito quanto funerea e dark sia l’atmosfera, mentre la cantante fa il suo ingresso in scena con il volto coperto da una maschera indecifrabile. Si prosegue con ‘Here Sometimes’, forse tra i momenti più movimentati e freschi dell’album. Un guizzo di vita arriva poi con ‘Equus’ e subito dopo 'Dr Strangeluv', in una esibizione serrata, agguerrita e carica che lascia tanto sperare, ma altro non è che un evento raro e circoscritto in tutta la serata. Le aspettative infatti crollano presto, con il susseguirsi di tanta recente electro-dream-soft, che rende lento e poco immediato l’approccio ai nuovi brani. Non si contesta qui (eppure se ne potrebbero avere le ragioni..) la transizione di genere. Non si inveisce contro il passaggio dalle sonorità ruvide e spigolose degli esordi (La Mia Vita Violenta, 1995; Fake Can Be Just as Good,1997) a quelle odierne, visionarie e oniriche, rilassanti fino all’eccesso. Piuttosto, si rimpiange la grinta, la presenza fisica e tangibile dei musicisti e della loro musica. La capacità di suonare con passione e al contempo trasmettere energia vibrante. Ecco, mi assale come il sospetto d’aver visto sul palco questa sera uno splendido trio di controfigure, che hanno eseguito alla perfezione i brani, come da studio quasi. Una perfezione che ha rischiato però di rendere tutto drammaticamente piatto, monocorde. Simone (batteria) ed Amedeo (voce e chitarra) hanno ‘peccato di raffinatezza’, per dirla rubando l’espressione ad un commento di fine serata. Come a dire che ricercatezza alle volte è sinonimo di algidità. La nipponica Kazu, -sempre più un ologramma- interpretando se stessa in chiave ghost, ha rarefatto ancor più anche la sua voce, smussandone gli angoli, addolcendone le acerbità. Quasi scomparendo in una nuvola di fumo, i tre sono arrivati a risultare oltremodo distaccati, 'momentaneamente assenti'. Lasciate un messaggio, prego.
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Recensione e foto di Rosa Paolicelli
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