Roma, Auditorium Parco della Musica, 29 marzo 2009
Un’indimenticabile ed emozionante performance ci è stata offerta da Antony and The Johnsons nel concerto all’Auditorium. Il musicista inglese trapiantato a New York, ove è diventato mentore dell’Avanguardia della scena attuale, ammirato da Lou Reed e Laurie Anderson, sin dai primi momenti è entrato mirabilmente, in gran sintonia con il pubblico: la sua voce unica ed inconfondibile ha segnato l’avvento di una nuova era del canto ed i suoi stupendi testi hanno dato origine ad un nuovo splendido filone di moderna poesia romantica.
Il concerto è stato preceduto dall’apparizione della danzatrice Johanna Costantine, che, come un misterioso mimo avvolto in un cerchio di luce (come nella tradizione del grande ispiratore di Antony, il danzatore Bhuto giapponese Kazuo Ono), ha mosso passi di danza vestita da uccello, trasformandosi, successivamente, in cane, in cavallo, realizzando un mirabile omaggio al mondo animale ed allo stupefacente ed immutabile miracolo del divenire della natura; i passi di danza erano ermetici e colmi di pathos, ed hanno contribuito a creare una sottile tensione emotiva.
Non appena Antony Hegarty è apparso sul palco, accompagnato da The Johnsons, presentatisi con un look degno di un piccolo ensemble da camera, la magia si è immediatamente realizzata e noi spettatori siamo stati pervasi da una profonda emozione, come raramente capita in eventi di questo genere.
L’inizio è sulle dolcissime note di Where Is My Power?, subito seguita dalla stupenda Her Eyes Are Underneath The Ground, il meraviglioso sogno dark che apre l’ultimo lavoro di Antony, The Crying Light, che viene presentato quasi per intero.
L’ensemble che accompagna il Musicista, che, con il suo pianoforte origina flussi interiori altamente evocativi, si fa notare per la sua grande discrezione e eccezionale misura; violoncello, violino, oboe, emettono un suono suffuso e dolcemente malinconico.
E’ la volta di Epilepsy is dancing, drammaticamente rappresentativa della sofferenza umana, eppure a suo modo vivace, quasi dance, seguita dall’evocativa e dolente One Dove e dalla splendida, intensamente lirica For Today I am a Boy, tratta dal precedente lavoro I am a Bird Now.
Dopo la più ordinaria ma suggestiva Kiss My Name, Antony si rivolge al pubblico per spiegare i contenuti di Everglade, grande poesia visionaria sull’amore e sullo splendore della natura incontaminata; il Musicista declama letteralmente i versi che risultano persino comprensibili anche per chi non ha ottima conoscenza della lingua inglese
La splendida, dolente Atrocities, tratta dal primo album, ove rifulge lo splendido timbro della voce baritonale di Antony, coinvolge emotivamente il pubblico che a più riprese applaude, come pure avviene per la drammatica, straziante Another World, inno panico rivolto alla potenza ed allo splendore perenne della natura, che il Musicista, proiettato nel futuro, immagina comunque in pericolo per le violente trasformazioni operate dall’uomo, che ci potranno togliere la neve, le api, e distorcere la crescita delle cose.
Shake That Devil è densa, bluesy, ed accompagnata da un tappeto elettronico, quasi rumoristico.
La meravigliosa, lirica, appagante The Crying Light sembra un brano della Scuola Minimalista, e nella sua avvolgente suggestione cattura ancora l’ovazione del pubblico.
C’è anche l’omaggio a Bob Dylan con I Was Young When I Left Home e subito dopo l’intensa Fistful of Love; You Are My Sister è il commosso omaggio a Boy George, con il quale Antony collaborò.
Con Twilight inno potente all’ombra che avanza, e Aeon, con forti venature Blues, il concerto si avvia alla sua conclusione.
Splendidamente ironico e generoso, nel bis Antony regala un omaggio a Roma ed alla sua gente, con un arpeggio vocale improvvisato; I Fell in Love With a Dead Boy, lirica ed emozionale, e Hope There’s Someone, stupefacente inno minimalista dedicato alla perdita dell’Amore ed alla speranza del suo ritrovamento, uno dei suoi brani più belli e più poetici, chiudono il concerto.
Questo poeta visionario dell’anima, conoscitore di William Blake, drammaticamente sospeso tra la Luce e le Tenebre ma portatore, nei suoi flussi interiori, di un profondo messaggio di serenità e di dolcezza, di amore per la Natura, ci ha regalato un evento che rimarrà per sempre nel nostro cuore. La sua timbrica dolente, certamente debitrice di Jeff Buckley, si è risolta, rivelando la sua assoluta originalità. Nel canto di Antony, nella sua sfida cantautoriale, mutuata in gran parte da David Tibet leader dei Current 93 che lo lanciò, si ritrova la sfida alle avversità della vita, c’è la pacatezza e la saggezza, c’è il tuffo nell’ignoto, con la consapevolezza della caducità delle cose e la speranza dell’umano riscatto.
Recensione by Dark Rider