Ott 092011
 

Roma, Parco della Musica, 3 ottobre 2011

★★★★☆

Antony è un grande artista, non ci sono dubbi, e lo ha dimostrato ancora una volta confezionandosi su misura uno show che lo rappresenta perfettamente.
Il concerto di Roma all’Auditorium – a pochi giorni di distanza da quello di Bari – è in verità uno spettacolo ove tutti i partecipanti hanno recitato un ruolo ben preciso. La splendida orchestra del Teatro Petruzzelli di Bari ha recitato il ruolo dell’orchestra informale, tutti in jeans bianchi, che finalmente si poteva dilettare con musica pop, anche se un art-pop d’autore. Il Maestro Rob Moose, membro dei Johnsons, ha sostenuto il ruolo del Direttore fidato della star, il pianista Thomas Bartlett il ruolo di colui che all’occorrenza sa farsi da parte e lui, il divino Antony il ruolo del sofisticato cantante-compositore-transgender più amato e odiato che ci sia.
In realtà chi lo è andato a vedere lo ama a giudicare dal tributo di applausi e grida di gioia che hanno accompagnato l’ora e mezza dello show. Durata anche questa tipica dell’atto unico teatrale…
D’altronde Antony Hegarty è un uomo di teatro, da questo proviene e a questo sta tornando, recentissima è la sua partecipazione come compositore e cantante nello spettacolo diretto da Robert Wilson “Life and Death of Marina Abramovic” di cui nella serata romana ha cantato la bellissima “Cut the World”.
In lui tutto è misurato, provato ed eseguito al millesimo come si fa in una pièce teatrale. Nel concerto è mancato quello spazio di imprevisto, di imponderabile d’improvvisazione che la musica porta inevitabilmente con sé. Al contrario la nostra stella del firmamento transgender cura ogni cosa: la sua voce sempre splendida, virtuosa, emozionante; i suoi gesti da attrice di film muto imprigionati in un corpo da highlander; le sue pause alcune volte lunghissime; i movimenti delle sue gigantesche mani che sfarfallano come quelle di una bailaora flamenca.
E poi le luci progettate da Paul Normandale e Chris Levine. Non concepite per creare generiche atmosfere di accompagnamento alla musica, ma dei veri e propri disegni luminosi che creano spazi separati per ciascuna canzone. Nel palco compaiono fasci di laser verde che accolgono l’azione canora. Quasi ogni canzone ha un disegno luci distinto che, sottolineando diverse zone del palco scenico, accompagna per analogia o per contrasto il mood del brano di turno.
C’è uno studio enorme dietro ma l’effetto non sempre convince, anche se regala talvolta suggestioni metafisiche anche grazie alla grande scenografia che si libra nell’aria sulla testa degli orchestrali.
La cura estrema dell’atto creativo dell’intero spettacolo e, anche delle canzoni dell’ultima opera di Antony and the Johnsons: “Swanlight”, stanno portando l’artista verso atmosfere talmente rarefatte da cui può diventare difficile estrapolare un’emozione genuina. Emozione e coinvolgimento che c’è sicuramente nella composizione artistica ma che si smarrisce nella cura del particolare.
Prova di questo è che il pubblico ha ancora preferito i momenti in cui il cantante si è seduto al piano e ha cantato canzoni più intime, ai momenti in cui orchestra – per altro ottima – luci e gesti plateali, hanno creato sonorità e immagini intensamente stranianti.
Molto calibrata anche la scaletta: circa tre brani per ogni cd in cui hanno campeggiato vecchie canzoni come “Cripple and the Starfish” o “Rapture”, brani più famosi come “For today I am a boy”, “Kiss my name” o “You are my sister”, e le bellissime creazioni impalpabili come “Swanlight”, “The Crying light” o “Ghost”.
Nel tempo che Antony ha dedicato al suo pubblico c’è stato spazio anche per rendere omaggio al suo amico Baby Dee con una sua splendida canzone o per cantare la spettacolare “I fell in love with a dead boy”. E a metà dello show, come di consueto e come da copione, ha fatto le sue solite due chiacchiere per dire ciò che gli sta veramente a cuore: la necessità e l’urgenza di una rivoluzione mondiale a cura del femminile. E’ tempo che arrivi il potere dello Yin in tutte le manifestazioni del creato.
Come si fa a non essere assolutamente d’accordo con Antony?!

Recensione di Claudia Pignocchi

  2 Responses to “Antony and the Johnsons: Teatro di voce e luci.”

  1. Anche questa recensione è proprio bella.. ha reso Antony con luci e ombre, potenza e leggerezza. Complimenti!

  2. Concordo con Monica Mazzitelli: anche la recensione è proprio bella. Soprattutto per noi che lo spettacolo ce lo siamo persi. Si vede proprio che adori Anthony. E proprio per questo non ti lasci andare ad inutili esaltazioni agiografiche. Chi ama parla con la sincerità del cuore.
    Anch’io amo Anthony, come musicista, e infatti apprezzo chi lo critica quando è il momento.
    Penso che questo artista ci abbia fatto scoprire che c’è un “terzo genere” in grado di rivelare ciò che di più soprendentemente tenero c’è negli altri due.

    PS – Bellissimo blog, complimenti. Ho aggiunto il feed alla home page del mio computer, così lo tengo sempre sott’occhio.

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