Mag 122011
 

Roma, 6 Maggio 2011. Circolo degli Artisti

★★★½☆

Sbarcano a Roma per il loro primo live italiano, Angus & Julia Stone. Da Sydney al Circolo degli Artisti, passando per una serie infinita di date, seguendo un percorso a zig zag tra un continente e l’altro. 

E chi se li perde questi genietti pop-folk.. questi fratelli che hanno sbancato tutto, a casa loro, collezionando nel 2010 il premio come miglior album australiano dell’anno, miglior ‘adult alternative album’ e miglior singolo dell’anno. ‘Down the Way’, per l’appunto, il pluripremiato e vendutissimo disco (EMI Music Australia); ‘Big Jet Plane’ invece il singolo tratto dall’album. In Italia però gran parte del loro successo si deve a Giorgio Armani, che –in tempi non sospetti- ci aveva visto giusto (o meglio, sentito giusto) adottando ‘Paper Aeroplane’ come colonna sonora della collection 2008-2009: un delicatissimo brano, firmato Angus, incluso nella versione alternativa dell’album d’esordio del duo (‘A Book Like This’, EMI Australia, 2009). Poi i passaggi radiofonici e, su ogni altra cosa, il passaparola hanno fatto il resto. Famosi, dunque, e non meno belli. Anche un poco malinconici, con qull’aria d’ eterna sofferenza, un po’ stralunati, un po’ trasognanti, pensierosi, sognatori. Lui, con quei capelli perennemente incollati al volto, a coprirlo del tutto, quasi per proteggerlo dal mondo ‘là fuori’. Lei, occhioni languidi di bimba, sguardi persi e sorrisoni regalati al nulla. ‘Hold On’ e ‘Black Crow’, dal più recente lavoro, in apertura preannunciano atmosfere dolci, quasi docili. Luci bassissime, per l’intera serata, ad ovattare e ammorbidire tutti i suoni. Uno dietro l’altro si susseguono, come colpi ben assestati, tutti o quasi i brani dei due album. Non si ha il tempo di lasciarsi sedurre da un ritornello, che già si deve lasciar spazio a quello successivo: motivetti che accattivanti si scalzano e spintonano di continuo, in un eccesso di benevolissima rassegnazione; ormai ti sono in testa, lascia stare. Orecchie arrese, piegate alla dolcezza di un folk onirico e bambino, un ‘pop’olarissimo senso del ritmo. Una carezza lieve sulla testa, un bacio sulla fronte. Tra chitarre acustiche e tastiere, batteria e violoncello, c’è spazio a tratti anche per un vivace soffio di tromba, tra le mani di Julia, che un poco riscuote da quei toni di malinconia costante. Julia ed Angus, vocine d’infanzia, eco di giochi di un tempo passato, a rincorrer sè stessi su aeroplanini di carta. Angus e Julia, forse sì, a ripetersi ovvietà ‘Here I go, I’ll tell you what you already know’, ma con un candore tale che persino ‘For You’, dichiarazione d’amore in bilico sui righini asimmetrici di terza elementare, sembra a suo modo speciale. Non si distinguono per originalità e spessore i testi, no, ma la semplicità disarmante con la quale si ripetono li libera in fondo da ogni ambizione e pretenziosità. ‘I’m not yours’ non più, è un sussurro che dura all’infinito, sullo stesso tema al piano, I can think of a thousand reasons why I don’t believe in you, I don’t believe in you and I’. Deliziosa, a metà scaletta, la cover di ‘You’re the one that I want’, in una versione raffinata e vintage del famosissimo tormentone del musical Grease. In (finta) chiusura ‘Yellow Brick Road’ ci dà la conferma che i fratellini, quando vogliono, sanno anche lasciarsi andare in assoli più rockeggianti, più grinta e meno mestizia, senza abusarne troppo però. Come da copione, arriva il bis, con un un nuovo carico da cento. Ancora un po’ di tromba (Julia), qualche convincente schitarrata-combo-con armonica a bocca (il capelluto Angus) per un degno finale fuori dalle righe (le solite sbilenche, quelle dei quaderni di terza elementare).

Recensione e foto di Rosa Paolicelli

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