Mardi Gras: Among the Streams (2011 – Route 61 Music)
Suona bene, sempre meglio ascolto dopo ascolto, traccia dopo traccia, l’album dei Mardi Gras recentemente pubblicato per l’etichetta fondata e curata da Ermanno Labianca.
Il lungo e a tratti sofferto percorso che ha portato a questo lavoro è principalmente passato attraverso due cambi di lead singer: l’arrivo di Claudia McDowell sembra davvero aver stabilizzato la band ed indicato chiaramente la direzione da seguire, consolidando la personalità e lo spessore del repertorio. I benefici di questa provvidenziale new entry erano già stati evidenziati nelle prove live della band, sia nella formazione al completo che nei set acustici, come quello della slowfesta al Beba do Samba. Ma è la prova in studio che dimostra la maturazione dei Mardi Gras e la raggiunta consapevolezza del potenziale del proprio songwriting.
Condividendo il parere di Fabrizio Fontanelli, chitarrista e co-autore dei brani col quale abbiamo scambiato qualche chiacchiera riguardo la genesi e la realizzazione dell’album, evitiamo riferimenti ad un genere o l’accostamento ad una band a cui far risalire le atmosfere e le suggestioni ispirate dall’ascolto delle tracce del disco; vogliamo parlare solo di buona musica, fuggendo da etichette e classificazioni di comodo. Limitiamoci ad una pura connotazione geografica, ovvero identificando tra l’Irlanda e gli States l’incrocio magico dove quest’album trova i propri natali, quello che il Boss ribattezza ‘la terra della speranza e dei sogni’ e i Mardi Gras chiamano come ‘la fine del mondo’, citando il titolo del brano d’apertura del disco, una calda ballata in cui già domina la statura vocale di Claudia McDowell, ben sostentuta da piano ed organo Hammond. Dopo l’energica cavalcata rock di Scarecrow in the Snow arriva il brano da brividi, quello che davvero spicca come un diamante scintillante e che rende speciale ogni ascolto, ovvero la trasposizione in musica di una poesia di Yeats, intitolata ‘Men improve with the years’: un incedere dapprima sommesso e intimista del cantato femminile a cui si avvicenda una seconda strofa magistralmente interpretata da Liam O Maonlai, leader degli Hothouse Flowers, lirico ed ispirato, che trascina la McDowell in un intreccio di voci ben calibrato e particolarmente delicato grazie al quale tutta ‘l’irlandesità’ della lead singer viene esaltata dalla presenza di Liam.
La stessa suggestione e delicata ispirazione pervade Sister I know, un’altra ballad impreziosita da un finale in cui il controcanto la fa da padrone.
Unica cover (e che cover!) arriva dal repertorio di Bruce Springsteen, ovvero Land of Hope and Dreams, che nella versione al femminile non sfigura affatto rispetto all’originale. Shine ci porta ad atmosfere più Folk con un fiddle ed un drumming d’ispirazione Country&Western. Altro brano di punta è Ballad of Love, in cui i rimandi alla Gloria d’Irlanda Morrisoniana sono evidenti ma mai banali.
Nel complesso quindi un disco di grande maturità, dove sembrano essere maggiormante riusciti i brani più intimi e sommessi ed in cui forse l’unica pecca è il non aver lasciato spazio ad atmosfere più acustiche e minimali, ‘unplugged’ dove lasciar andare liberamente chitarre e voce. Piccoli, trascurabili nei di fronte ad un’opera notevole e sincera, che è auspicabile trovi un’ideale prosecuzione in una corposa attività live che consentirebbe ai Mardi Gras la visibilità e l’apprezzamento che meritano.
Recensione di Fabrizio Forno
Foto di Giovanni Canitano