HEXPEROS: Lost in The Great Sea; Ed. In the Morning Side Records, 2014
Gli Hexperos, dopo il fortunato incontro al “Villa Festival 2013”, dove abbiamo avuto modo di conoscerli ed apprezzarli, come abbiamo potuto constatare ancora una volta alla Festa Di Primavera organizzata da “Slowcult”, nonchè dal recentissimo, lusinghiero successo tributato loro al “Wave GothiK Treffen” di Lipsia, costituiscono un ensemble di grande valore artistico ed assolutamente originale nel panorama musicale del nostro paese, e non solo, anzi potremmo dire che rappresentano una felice eccezione alla mediocrità dilagante.
Giunti al terzo album, “Lost in The Great Sea”, che segue i bellissimi “The Garden of Hexperides” e “The Veil of Queen Mab”, che ne ha decretato la maturità artistica, il duo vastese, formato dalla soprano Alessandra Santovito e dal polistrumentista Francesco Forgione modifica in parte lo splendido sound, che lo caratterizza, il quale da Neoclassical, Ethereal, Dark Wave, si modifica in un Neofolk di natura celtica, con marcate venature dark, mantenendo la caratteristica “Ethereal”, e “Medieval”, percorrendo egualmente e costantemente sentieri artistici di grande qualità e di forte impatto emozionale.
Il nuovo album trae ispirazione dalle molteplici fonti culturali dei due musicisti, da sempre presenti nelle loro opere, che vengono trasfigurate poeticamente, attraverso un intenso lirismo che la soprano Alessandra Santovito interpreta nella maniera più originale e convincente.
Proveniente dal filone letterario del Romanticismo Gotico, dai grandi poeti inglesi, come William Shakespeare, come il geniale pittore poeta William Blake, Percy Bisshe Shelley e Mary Shelley, e John Keats, ed in particolare dal movimento pittorico e letterario dei Preraffaelliti, di cui i due artisti di Vasto (sede di un importante Centro Europeo di Studi Rossettiani) sentono, in certo senso, di far parte, rivendicando una continuità spirituale con esso, l’ensemble rinnova le coordinate artistiche adottando un Neofolk fortemente ispirato alla cultura celtica, in particolare irlandese, creando una originalità di suoni e sospensioni poetiche fortemente emozionali, costruite mirabilmente.
L’utilizzo di una strumentazione ampia, legata in buona parte alla musica antica, promossa in particolare dal creativo polistrumentista Francesco Forgione, studioso appassionato di musica medioevale, come il violoncello, l’arpa bardica, il violino, i flauti, nonché l’introduzione della cornamuse irlandesi, di chitarre, della tiorba (una sorta di liuto), di tastiere soffuse e mai invadenti, del bozouki, delle campane, delle percussioni celtiche, rendono le loro sonorità dolcissime ed immaginifiche, magnetiche e al tempo stesso visionarie. Esse traggono certamente ispirazione dalle splendide dolci sonorità del “neofolk “ germanico; si percepiscono sintonie con le dolcissime ballate dei Forseti e dei Sonne Hagal, ma non mancano echi degli straordinari Dead Can Dance, da sempre fonte d’ispirazione per le loro suggestive armonie. Ma in più, e come assoluta novità, i riferimenti ai bardi, antichi cantori irlandesi sono ampi ed articolati; il suono è fluido ed evocativo, e sembra, per la sua limpidezza e felice articolazione, in certi momenti, di riascoltare i grandi classici della stagione del folk irlandese degli anni settanta, quando i Planxty, The Bothy Band, gli Ossian facevano conoscere al mondo quelle ancestrali, splendide, evocative sonorità. Tutto ciò, va sottolineato, si inquadra in un percorso poetico musicale rigoroso e di estrema originalità, che esprime un pathos ed una profondità culturale assolutamente inusuali nel panorama musicale attuale.
Le coordinate culturali di Hexperos partono da una attenta rivisitazione del mito greco, dalla riscoperta e dalla fascinazione per l’antichità in genere, dalla cultura preraffaellita dell’Inghilterra di metà Ottocento, in un originalissimo percorso poetico che richiama la figura della Donna che, pur impossibilitata a viaggiare per i condizionamenti culturali del tempi antichi, e costretta dunque a farlo con l’immaginazione, ebbe un’influenza decisiva nella storia dell’Arte, spesso ispirando gli artisti più celebri, i letterati, i poeti, sia uomini che donne. La celebrazione dell’Eterno Femminino come forza creatrice della Natura è autentica e comporta una suggestiva ridefinizione della Cultura Romantica.
In particolare è citata la figura di Elizabeth Siddal, poetessa, musa ispiratrice e successivamente moglie infelice di Dante Gabriel Rossetti: ella, fu, tra l’altro modella per dipinti immortali come la shakespeariana Ophelia di Millais. Altra figura di riferimento per l’album è la poetessa Christina Georgina Rossetti, sorella di Dante Gabriel Rossetti, anch’essa ascrivibile al movimento dei Preraffaelliti.
L’inizio è per “Autumnus”, immaginifico e sepolcrale brano, austero e solenne, che l’ensemble ha corredato, nei mesi scorsi, di uno splendido video girato nelle campagne di Abruzzo, rivendicate, per la loro maestosità e misteriosa bellezza, sovente come grande fonte di ispirazione; la voce di Alessandra Santovito si libra in volo, creando un forte senso di pathos, che rammenta la lirica grandezza dei Dead Can Dance.
“Lost in The Great Sea” è il primo brano che rappresenta la lirica, suggestiva svolta compositiva dell’ ensemble: un brano poeticissimo, evocativo, fortemente visionario, un’immagine meravigliosa di mare, un veliero che diventa un puntino all’orizzonte, un amore che si allontana verso l’ignoto, lasciando uno struggente rimpianto.
Le dolci ballate “A Wish” e “Song” che mettono ancora in luce le straordinarie doti vocali della Santovito sono tratte dai poemi di Christina Georgina Rossetti, e sono brani che evidenziano particolarmente le affinità spirituali tra Hexperos e Preraffaelliti. Sono disegnate splendide armonie di natura celtica, che contribuiscono a creare un incanto folklorico proprio del mondo anglosassone, ove tenebra e luce si intrecciano, si susseguono, determinando una forte inquietudine, un soffuso pathos. In particolare, “Song” mette a confronto poeticamente due anime di donne, una che canta gioiosamente canti di speranza sui bordi di un fiume, vedendo saltellare i pesci, alla luce del sole, l’altra che piange amare lacrime sotto una luna oscura, osservando nel buio le foglie piangenti nel fiume. Ma le lacrime vengono inghiottite dalle acque, le gioiose canzoni moriranno nell’aria.
Così come intrise di cultura e tradizioni celtiche sono la favolistica, strumentale “Giant Caseway”, ove la leggenda irlandese vuole che delle colonne basaltiche siano state costruite con pietre da un gigante, Finn Mc Cool, e “Spring Thaw”, canto del disgelo primaverile, nonchè la stupenda “Aine’s Ballad”, dove un uomo, in contatto con la Natura, incontra nel bosco una donna di sfolgorante bellezza, che gli si rivela per essere la Aine del titolo, la Dea dell’Estate, dell’opulenza e del Sole, e ne viene rapito a tal punto che, da anziano ancora si aggirerà nei boschi per prendersene cura, scacciando il male.
Stupenda, molto evocativa, decisamente “dark”, “A Sparkle of The Mysterious Universe”, ove l’Amore viene visto come viaggio verso l’ignoto, piccola scintilla dell’Universo misterioso, mentre con toni elegiaci vengono espressi concetti di profonda spiritualità.
“To Autumn” è l’ode all’Autunno del visionario pittore, poeta William Blake, che i Preraffaelliti considereranno un loro precursore, una delle figure più geniali che il mondo anglosassone abbia mai generato, anticipatore del romanticismo, ed è magnifica nella sua dolente intensità, ove l’autunno viene visto come anello di congiunzione tra lo splendore della natura in estate e la durezza dell’inverno.
“The Traveller” è un’ode al viaggiatore reale ed immaginario; attraverso i racconti si scoprono nuovi orizzonti, nuovi mondi lontani, ove l’immaginazione viaggia attraverso danze vorticose al fioco lume di candela, tra splendide sete e broccati.
“Reflection” è una dolce ballata che, celebrando il profondo, simbiotico legame tra madre e figlia, rispecchia l’amore dell’artista Santovito per la piccola figlia Elettra, frutto dell’esperienza genitoriale del duo.
“Proserpina”, il mito della tradizione pagana siciliana, più volte celebrata dall’ensemble, ed ancor prima, nel precedente progetto della soprano, “Gothica”, in questo caso riprende il poema omonimo di Dante Gabriel Rossetti, che la celebra con immagini efficaci e dolenti, in una interpretazione che mette in luce il dramma della protagonista, divisa tra la luce della vita terrena e le tenebre del regno dei morti, ove per sei mesi l’anno è condannata a soggiornare, che l’ensemble trasfigura in una intensa e visionaria immagine romantica che evidenzia la tragica commistione di Bellezza e Morte, come anche descritta nel celebre dipinto di Rossetti.
Il Mito, la Donna e la sua dimensione artistica, la poetica e la pittura preraffaellita, la Tradizione celtica irlandese, l’Amore, lo splendore della natura, la celebrazione del viaggiatore, reale ed immaginario, che scopre nuovi mondi, anche interiori, l’Utopia della Bellezza sono evocate con tratti di intenso lirismo, con un autentico senso di profondità spirituale, ma con un’assenza di tono professorale, che rendono un messaggio di per sé colto e sofisticato, per nulla accademico, ma spontaneo e naturale, e che nella citazione di brani poetici non si limita ad una operazione filologica, ma diviene trasfigurazione e realizzazione artistica fortemente emozionale, nella rievocazione di una ancestrale, perduta Classicità.
Il percorso creativo degli Hexperos porta alla ridefinizione di un nuovo Umanesimo che, partendo da un moderno Romanticismo, trova nell’intreccio fecondo tra Arte e Vita il suo punto di approdo naturale. La capacità evocativa, onirica, visionaria, emozionale dell’album, è tale da disegnare un’opera di sconfinato splendore.
E, come per William Blake, è nel confine tra luce e oscurità che risiedono l’immaginazione esoterica e la poesia visionaria degli Hexperos; essi, coadiuvati da strumentisti eccezionali, come il violinista Domenico Mancini, nonché dagli altri, tutti di grande talento, attraverso le loro magiche armonie, realizzano la loro Arte, come poetici cantori dell’Infinito.
Recensione di Dark Rider