Enzo Avitabile: Black Tarantella, 2012, CNI Music
La canzone napoletana, che da almeno due secoli rappresenta una punta d’eccellenza, nel panorama musicale italiano, non manca di tornare periodicamente alla ribalta, e nel 2012 lo fa con l’album di un musicista di lunga esperienza come Enzo Avitabile, cresciuto all’ombra del coetaneo (1955) Pino Daniele, ma sempre rimasto abbastanza in secondo piano.
Quest’ultimo album, Black Tarantella, è bellissimo, e persino i puristi del rock lo apprezzeranno, se si cimenteranno nell’ascolto delle 13 tracce composte da questo artista, mai ai vertici delle classifiche, ma sempre giustamente celebrato come uno dei più rappresentativi dell’olimpo partenopeo. Come ha fatto anche John Turturro, nel suo splendido film-documentario sulla canzone napoletana, “Passione” (2010).
È un album quasi tutto di featuring, collaborazioni che vedono la presenza di un altro artista, per affiancare il napoletano di Avitabile col proprio idioma. E’ tutto un incontro di culture locali, tanto che persino Battiato, nel duettare in “No è no”, canta in siciliano, e Guccini, nel brano “Gerardo nuvola ‘e povere”, si esibisce in emiliano. Gli altri che partecipano al progetto sono Raiz, voce degli Almanegretta, il mauritano Daby Tourè, il mitico cantante di flamenco Enrique Morente – cui il disco è dedicato, essendo morto da poco – l’algerino Idir, Bob Geldof (sì, quello di Live Aid), il duo rap italiano dei Co’ Sang), il sempiterno David Crosby, Mauro Pagani, che suona insieme ad un musicista del Mali, Toumani Diabatè. Ma nel primo brano, a duettare con Avitabile, c’è proprio l’ormai sbiadito Pino Daniele, quasi a voler rimarcare le origini di tutto il percorso.
Enzo Avitabile sembra proprio ritrovare quella vibrante ispirazione “black” che, nei suoi primi dischi, Pino Daniele interpretava al meglio. E quella stessa freschezza, in “Black Tarantella”, c’è ancora tutta. Una differenza sostanziale è l’abbandono del blues, per un maggiore riavvicinamento alle radici. Ascoltatelo. Rimarrete anche colpiti dalla limpidezza del suono.
Recensione di Paolo Subioli