Roma, Auditorium Parco della Musica, 2-3 Febbraio 2010
'Ventunodieciduemilatrenta Tour' ed 'Elettra Tour'
L’ennesima sfida con se stessa, la voglia di sorprendere e sorprendersi, la paura di ‘restare uguale a ieri’, fanno di Carmen Consoli, nell’insieme, un’artista in crescita continua e inarrestabile. Un’artista che è andata nel tempo affinando il proprio stile, a seguire un percorso evolutivo complesso, una ricerca profonda e inquieta di un’identità musicale e poetica, che affonda le radici nella propria terra d’origine, la Sicilia.
Conseguenti evoluzioni, dunque, ciascuna ad apportare ricchezza; nuove sfumature ad aggiungersi alle altre con delicatezza ed eleganza, senza per questo cancellarle. Così ora, con quasi quindici anni di carriera alla spalle, Carmen è al contempo voce bruciante e raffinata, corde distorte di fender stratocaster, arpeggi avvincenti in acustico. La bambina impertinente degli esordi tiene la mano alla donna matura di oggi ed insieme partono per questo nuovo doppio tour in parallelo. In ogni città due date, una per il progetto elettronico ‘Venutunodieciduemilatrenta Tour’ nei club, una per il progetto acustico ‘Elettra Tour’ nei teatri. Una metà a completare l’altra, insomma, parti che perfettamente si integrano, dandosi forza a vicenda. Due approcci artistici che convivono nella stessa personalità poliedrica e vivace, due modi di essere e di interpretare la vita, in fondo, che non sono necessariamente esclusivi: da una parte l’essenzialità di un basso, sonorità dure e scarne, dall’altra invece la ricercatezza di una chitarra acustica e delle sue corde dolcemente pizzicate. E non si tratta di una personalità che nega l’altra (la Carmen Rock vs. la Carmen Pop), al contrario s’assiste ad una celebrazione di entrambe, compresenti e più che mai vive, ad intraprendere questa scommessa (oltre 50 date) che si concluderà il 30 aprile a Bari. Noi di Slowcult abbiamo presenziato alla data 0 del tour, il 1 febbraio a Roma, per seguirla poi nel tour elettronico il giorno successivo, e nel tour acustico, il giorno dopo ancora. Al suo fianco i musicisti-amici di sempre, con qualche new entry e qualche ritorno di fiamma per l’occasione. Il basso è strumento protagonista del tour elettronico, imbracciato dalla stessa cantantessa, anche per la volontà di non sostituire Leandro Misuriello, bassista storico della band venuto a mancare qualche anno fa. Sul palco con lei il fedelissimo Santi Pulvirenti alla chitarra, Andrea Pesce moog e tastiere, Leaf Searcy, vecchio batterista nuovamente reclutato. La scaletta si apre con ‘Gamine Impertinente’, versione francese quanto mai sensuale dell’opening track di Stato Di Necessità (Cyclope/Polydor, 2000) e prosegue poi con esecuzioni di brani graffianti e forti, dove –a farci caso- un certo cinismo fa da filo conduttore. Matilde Odiava I Gatti/parenti, vicini e lontani, dai suoni acidi e tastiere dissonanti, è seguita da Mio Zio, storia di uno stupro tra le pareti domestiche, vergognosamente taciuta per salvaguardare la sacra ‘famigghia’. Sputa veleno Carmen Consoli, sputa veleno la sua Lingua A Sonagli, e affonda tagliente il suo sguardo critico in una società nevrotica ed insana, avida. Il basso elettrico, martellante, centralissimo, impone degli arrangiamenti nuovi, più duri, quasi più cattivi. Si fa indispensabile, ad assecondare la disperazione di pazienti psichiatrici, malati d’amore (Komm Wieder), o a sostenere la dance beat dell’unica cover della serata (Devil’s Roof, delle Throwing Muses). La furia del basso a tratti si placa, per addolcirsi poi in momenti più lenti e drammaticamente intensi come in Fino All’Ultimo o Venunodieciduemilatrenta, brano che presta il nome alla serata. Non è affatto, questo tour elettronico, una promozione del nuovo album in chiave rock, come ci si poteva aspettare. E’ al contrario un volersi portare dietro, in parallelo, un’irrinunciabile parte di sé, stridore di rotaie, unghie a graffiare una lavagna, un rumore parecchio fastidioso insomma, che non è possibile coprire con assoli di violino. A promuovere l’album nuovo, Elettra (Universal, 2009), disco d’oro dopo appena due settimane, ci pensa invece il tour acustico, che per l’occasione riempie la sala Santa Cecilia, la più grande dell’Auditorium, sold out con largo anticipo. Qui le atmosfere sono totalmente differenti, scompare l’intimità della piccola sala Teatro Studio, le distanze adesso sono quintuplicate e si sta tutti composti sulla propria poltroncina, ad ascoltare silenziosi. Ad aprire –com’è giusto che sia- una tripletta dall’ultimo lavoro, Perturbazione Atlantica, Non Molto Lontano Da Qui (primo singolo estratto) e Mio Zio. Carmen Consoli torna alla sua chitarra acustica, lasciando le parti di basso al contrabbassista Marco Siniscalco. Sul palco ritroviamo Santi Pulvirenti ed Andrea Pesce, mentre a portare il tempo ci sono Leaf Searcy -questa volta alle percussioni- e Puccio Panettieri, alla batteria. In più, per la versione acustica del tour, Adriano Murania si esibisce al violino, Marcello Lenza ai fiati. Uno squadrone affiatato e compatto, otto in tutto sul palco, ma non per tutta la serata. A metà scaletta, infatti, Carmen si ritrova sola al centro di una sala buia ed enorme, sola con la sua chitarra imbracciata a mo’ di scudo. Come a proteggersi da tanta introspettività, a difendersi da un’atmosfera emotivamente troppo satura, troppo densa di sospiri a mezz’aria. ‘E sopravviverò a questa mancanza d’ossigeno’ canta ne Il Sorriso Di Atlantide, primo dei brani eseguito in solitaria. Si prosegue con pezzi nuovi, alternati ai vecchi, e tutti in qualche modo s’incentrano su figure femminili forti, dalla Geisha alla vecchia Contessa Miseria, passando per la prostituta Elettra sino ad arrivare a Maria Catena. Arrangiamenti nuovi, esecuzioni impeccabili, seducenti parti di archi. Ore d’intensità rara per questo doppio tour che, in maniera antitetica e complementare, porta in scena uno sguardo introspettivo e attento, critico e benevolo, dolce ed affilato, su se stessi e sul mondo circostante; dove estenuanti distorsioni di chitarra e delicatezza di violino e flauto sanno far parte magicamente dello stesso complicato intero.
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Recensione e foto di Rosa Paolicelli
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