Pensando all’arte e alla personalità di Antonello Salis mi torna in mente il verso della poesia di Baudelaire che dà il titolo alla raccolta di scritti sulla musica di Glenn Gould, “L’ala del turbine intelligente”. Eppure i due sembrerebbero diversissimi tra loro.
Da un lato il pianista classico canadese, ossessivo nella sua ripetitività, antiromantico per eccellenza, che progressivamente perde interesse per le esibizioni dal vivo per rifugiarsi in studio di registrazione. Dall’altro l’eclettico fisarmonicista-pianista sardo, esuberante come l’argento vivo, generoso e irrefrenabile nella gioia del “qui e ora”, sempre proteso verso il futuro e desideroso di reinventarsi da zero ogni volta che sale sul palco. Entrambi rivoluzionari, instancabili nella ricerca: della perfezione per il primo, dell’originalità per il secondo. Forse due facce della stessa medaglia, due ali dello stesso magnifico turbine, quello dell’arte.
Sono infinite le collaborazioni di Salis, i dischi, i concerti, i progetti che ha realizzato con artisti italiani e stranieri. Una vitalità inesauribile che va di pari passo con l’allegria dei suoi racconti, colorati da un’ironia leggera che non si tramuta mai in sarcasmo. Incontriamo Salis un pomeriggio di febbraio e davanti a un caffè iniziamo il viaggio nella sua storia artistica e umana. L’entusiasmo che lo anima è palpabile quando si parla di musica, di tutta la musica, senza confini. Una visione e una passione che non possiamo non condividere.
Come è avvenuto il tuo incontro con la fisarmonica?
Quando ero molto piccolo: in realtà mi sono innamorato prima del suono delle campane, che sentivo in casa dei miei nonni materni, in Sardegna. Poi mi hanno regalato una fisarmonica giocattolo e ho cominciato a suonare le melodie che ascoltavo alla radio. A quel tempo la fisarmonica era uno degli strumenti principali nelle feste popolari quindi era facile ascoltarla anche dal vivo. Ho avuto anche un insegnante ma la cosa strana era che mi piaceva tutt’altra musica rispetto a quello che lui mi dava da studiare: valzer, tanghi, mazurke… a me piacevano le canzoni. Eravamo tra gli anni ’50 e ’60 e un amico mi fece conoscere Elvis Presley, suo fratello mi fece ascoltare Benny Goodman, iniziai a capire qual era il tipo di musica che mi piaceva. Così nel 1964 ho smesso di suonare la fisarmonica: per caso avevo incontrato una band che suonava brani degli Shadows e mi sono innamorato del suono della chitarra elettrica… ho deciso di suonare la tastiera e l’organo Hammond. Ho messo su un gruppo, suonavamo Hendrix, musica progressive: la fisarmonica la vedevo ormai lontana, associata soltanto alle feste popolari.
Possiamo dire che questo “pregiudizio” esista ancora nei confronti di uno strumento che invece è molto versatile?
Be’, ora comunque le cose sono cambiate. Ai miei tempi per la fisarmonica c’era solo il mondo delle musica da ballo oppure il linguaggio ‘colto’ dello strumento ma io non lo conoscevo, non ne ho avuto la possibilità. A un certo punto ho smesso di studiare anche per poter lavorare e aiutare un po’ i miei nonni.
Quando hai deciso di “emigrare” nel continente?
Nel 1969, suonando con gruppi da ballo nel Nord Italia. In quel periodo ho cominciato ad ascoltare cose di ogni genere, da Frank Zappa alla classica fino al free jazz e alla musica latina. Da lì ho capito che i generi mi stavano stretti. Tra la musica che ascoltavo e quella che stavo suonando c’era un abisso e io volevo andare in un’altra direzione. Con alcuni amici abbiamo creato una band, i Cadmo: il batterista scriveva i testi e noi lavoravamo sulle musiche, anche “storte”, dispari… un progressive con tante influenze.
Nel 1974 ce ne andammo tutti insieme a Umbria Jazz con i sacchi a pelo, a bordo di un maggiolino Volkswagen. Ascoltammo i concerti di Charles Mingus, Keith Jarrett… uno shock! Lì incontrammo un fotografo sardo che ci suggerì di trasferirci a Roma. E decidemmo di accettare l’invito.
Qual era la situazione nella Capitale per il jazz?
C’era una scena vivace: noi suonavamo spesso al Music Inn. Esisteva una bella solidarietà tra i musicisti romani, anche quelli più anziani. Tutti ci hanno voluto bene e apprezzato anche se la nostra musica era un misto tra free jazz e progressive, non era proprio jazz “tradizionale”. Però loro non si preoccupavano di questo. Sai, tra i musicisti ci sono quelli che pensano di suonare un genere e suonano sempre quello. Si accontentano e vivono felici. Io non mi ritrovo in questo, per me è importante cercare la propria personalità, la propria originalità.
Quando hai ripreso a suonare la fisarmonica?
Nei primi anni ’80. Non avevo più seguito il mondo della fisarmonica, con i concorsi, i campionati mondiali… una cosa che mi sembrava lontana da me, anche un po’ volgare. Ho pensato che forse questo strumento si poteva vedere sotto un’altra luce, dandogli un carattere diverso…
Hai avuto esperienze con la televisione?
La prima fu piuttosto divertente: negli anni ’90 mi invitarono al programma di Andrea Barbato su Rai Tre, “Va’ pensiero”, proponendomi di partecipare, ben pagato, a otto puntate con qualche breve intervento musicale. Io accetto, iniziamo a registrare la prima puntata e suono i primi pezzi. Suono quello che mi viene in mente, qualcosa dei Beatles, cose così… arrivati all’ultimo intervento mi si avvicina una collaboratrice che mi chiede: “Maestro, potrebbe fare qualcosa di più orecchiabile?” Ma io non pensavo di aver fatto chissà che di strano, di atonale! (Ride). Il lunedì seguente sono andato in Rai per firmare il contratto e mi hanno detto: “La regista dice che lei suona cose troppo complicate, per le prossime puntate potrebbe suonare qualcosa di più orecchiabile? La gente vede la fisarmonica e si aspetta cose semplici”… Gli ho detto che quello che cercavano potevano trovarlo a Trastevere, nei ristoranti… dappertutto, anche gratis. Perché chiamare me? (Ride).
Più di recente, nel 2013, sono stato ospite di Stefano Bollani nel suo programma. Con Stefano siamo amici: abbiamo condiviso tanti progetti, ha una grande musicalità, tantissime idee e una incredibile facilità di elaborare qualsiasi cosa. Più di recente, nel 2014, ho partecipato insieme a Paolo Fresu a una puntata di Ballarò per sostenere le popolazioni sarde alluvionate.
Il prossimo 15 aprile i tuoi brani verranno eseguiti al Teatro Strehler di Milano da una grande orchestra in una serata dal titolo geniale, “Cum Grano Salis”. Come è nato questo progetto?
E’ un’idea del mio amico Riccardo Fassi che aveva già eseguito alcuni miei brani con la sua Tankio Band. Verranno eseguite le mie composizioni dagli anni ’70 a oggi, arrangiate da Riccardo e dirette da Enrico Intra. Non che io abbia scritto delle sinfonie ma sarà divertente! (Ride)
Hai viaggiato molto con la tua musica. Qual è stato il paese che più ti è piaciuto?
Sono stato più volte in Messico e devo dire che per me ha un fascino particolare come tutte le zone latinoamericane. Non saprei dirti il motivo preciso. Ho suonato a Capo Verde, in Cile, in Argentina… ecco, forse un altro paese in cui mi piacerebbe vivere sono le isole Canarie, ho suonato lì negli anni ’90 con una compagnia di danza contemporanea.
Quindi ti piace anche l’interazione tra discipline artistiche diverse?
Sì, ho realizzato sonorizzazioni di film muti, ho suonato in spettacoli di mimo… penso che la musica possa essere molto descrittiva anche in mancanza di immagini. Ho conosciuto Pina Bausch, mi sarebbe piaciuto al tempo avere uno smartphone per farci un selfie! (Ride) Chiamò a suonare me e un amico, Sandro Satta, poi ci portò un mazzo di fiori sul palco, andammo a cena insieme… Una persona deliziosa, molto normale.
Hai una tua disciplina quotidiana per quanto riguarda lo studio?
No, non l’ho mai avuta, passo anche dei giorni senza toccare lo strumento. Non mi piace molto l’idea di suonare “per tenersi in allenamento”… se suoni cerchi qualcos’altro, non devi fare cose che hai già fatto tante volte. Sarebbe noioso, finirebbe la sfida.
In questo periodo cosa stai ascoltando?
Seguo molto il caso, ascolto di tutto, da Debussy a Frank Zappa… ascolto parecchio la radio, non uso il computer, mi piace leggere il giornale.
Come vedi la situazione musicale oggi in Italia?
Ci sono molti progetti interessanti e musicisti bravissimi. Forse troppi rispetto alle possibilità di produzione. Oggi si usa la rete per promuoversi ma è crollata tutta l’impalcatura che un tempo serviva per fare un disco, promuoverlo, suonare in giro… penso comunque che le cose migliori vengano sempre ‘da sotto’, dal cosiddetto underground: persone che non sono condizionate dai produttori, che non si pongono troppo il problema del mercato, di come cambiare se stessi per piacere al pubblico.
Arriviamo così a una fatidica domanda: cos’è per te il successo?
Mah, sai, ora c’è questa ossessione del “piacere a tutti”: è una stupidaggine. Ci sarà sempre qualcuno a cui non piacerà quello che fai. Non è grave. L’importante è essere liberi: devi suonare quello che vuoi e chiamarlo come ti pare. Ti chiameranno e apprezzeranno per quello che sei.
Hai collaborato di recente con il fisarmonicista Simone Zanchini, com’è stato suonare con due fisarmoniche?
Non era la prima volta, ho fatto concerti in duo con Richard Galliano e anche con un quartetto di fisarmoniche. Con Simone Zanchini suono anche il pianoforte: mi piace molto la sua apertura, ci ascoltiamo molto. Vedi, ci sono musicisti che improvvisano ‘in contrapposizione’, è un metodo anche quello. Però si può anche decidere di iniziare a suonare partendo da zero, senza alcun riferimento: è lì che l’ascolto diventa importante. Insomma deve essere un incontro anche umano, prima ancora che musicale.
Cosa ti offre la dimensione del concerto solista rispetto al suonare con altri?
E’ perfetta per chi si vuole pavoneggiare (Ride), ti togli tutti gli sfizi… Però puoi sperimentare, lavorare in prospettiva. Tempo fa mi preparavo le scalette prima dei concerti, poi mi sono stancato: suonare deve essere una sorpresa, sempre. E poi l’umore cambia continuamente, tra lo scrivere la scaletta e il salire sul palco è passato del tempo… sei già diverso da com’eri una o due ore fa. Meglio concedersi un’opportunità in più per essere liberi.
Chiudiamo con il disco che sta per uscire per l’etichetta AlfaMusic. Di cosa si tratta?
Abbiamo terminato di registrarlo pochi giorni fa assieme al sassofonista Stefano “Cocco” Cantini. Il disco conterrà pezzi originali composti da noi e anche due brani non nostri: Angelica di Duke Ellington, che è abbastanza sconosciuto, e Norwegian Wood dei Beatles, che entrambi amiamo molto. L’uscita è prevista per giugno.
Antonello Salis: Pagina Facebook ufficiale
Intervista di Ludovica Valori
Collaborazione tecnica di Paolo Camerini