Pinelli – L’innocente che cadde giù: Paolo Brogi, 2019, Castelvecchi editore 152 pagine, €17.50
Un importante ed inedito contributo alla riflessione sulla nascita della “strategia della tensione”, che prese avvio cinquanta anni fa, nel 1969, in risposta allo straordinario movimento di lotta che investì il nostro paese dal 1968 in poi, sull’ onda dei sommovimenti che scossero in quell’anno il mondo intero, proviene dal volume dello scrittore e giornalista Paolo Brogi, “Pinelli – L’innocente che cadde giù”. L’Autore si avvale di un verbale rimasto sino a poco tempo fa sepolto nell’ archivio dell’Ufficio Affari Riservati, che fornisce nuove rivelazioni ed ipotesi sulla morte dell’innocente anarchico, evidenziando depistaggi e montature e dando nuova sostanza e rilievo alla ipotesi che apparve sin dall’ inizio come la più plausibile: Pinelli “vittima designata” di un contesto politico culturale che “voleva” dimostrare ad ogni costo la matrice anarchica nella strage di piazza Fontana, avvenuta pochissimi giorni prima, anziché indagare anche sulla matrice fascista, successivamente messa in forte evidenza dalle dinamiche processuali.
Abbiamo rivolto all’ Autore del volume alcune domande:
Nell’ ambito delle lotte politico sociali del sessantotto italiano, quale fu il ruolo del movimento anarchico (che nasce molto prima), quale la sua matrice culturale, dagli anni sessanta in poi? Ed in particolare, a Milano, Il Ponte della Ghisolfa che ruolo aveva nel medesimo movimento?
Nel ’68 trovammo gli anarchici con le loro enormi sedi e scarso seguito in molte città italiane. Molto generosi e disponibili misero in genere le loro sedi a disposizione di chi si stava organizzando allora. Dal punto di vista dell’elaborazione politica gli anarchici rivendicavano nei confronti del bolscevismo una forte resistenza libertaria che si era opposta alle pagine più inaccettabili e oscure dell’insurrezionalismo di sinistra. Naturalmente non erano impermeabili nei confronti di elementi provocatori. Che ruolo svolsero allora? Direi assai scarso e limitato. Al Ponte della Ghisolfa attribuisco un merito non da poco: aver convocato una conferenza stampa a poche ore dalla strage di Piazza Fontana per dire che la strage era di Stato.
Quali sono gli elementi fondamentali che, dalle carte desecretate di Affari Riservati, inducono a contestualizzare la tragica fine del pacifista Pinelli nell’ambito del disegno complessivo della “Strategia della Tensione”? Come possono essere inquadrate la strage di Piazza Fontane e la fine dell’anarchico nel quadro delle rilevate attività dei servizi segreti deviati, italiani e greci?
Gli Affari Riservati del Viminale, cioè il servizio segreto civile di allora che sarebbe stato poi sciolto dal governo nel 1974 dopo la nuova strage di Piazza della Loggia a Brescia, sono stati i costruttori del teorema anarchico. Cioè dell’accusa, rivelatasi poi totalmente infondata, che dietro le bombe e le stragi ci fossero gli anarchici. Non erano servizi “deviarti”, la formula è di comodo. Gli Affari Riservati diretti da Federico Umberto Dì’Amato erano costituiti da un centinaio di agenti (106 per l’esattezza) per il 90% meri esecutori. I dirigenti veri erano meno di dieci e nella costruzione del teorema anarchico, che doveva nascondere le responsabilità stragiste fasciste e golpiste, questi funzionari agiscono come un gruppo coeso unico. Il vero problema è che nessuno li ha mai indagati…”
Quale fu il ruolo della coraggiosa, indomita Licia Pinelli, e successivamente delle sue due figlie Silvia e Claudia, per tentare di sfondare il “muro di gomma”, e porre nel dovuto rilievo le contrastanti testimonianze sulla tragica fine dell’innocente che cadde giù? Come può essere raccontata la loro vicenda umana e civile?
Dobbiamo alla serena e ferma testimonianza civile di Licia Pinelli e delle sue due figlie, Claudia e Silvia all’epoca dei fatti solo di 8 e 9 anni, la resistenza che è stata portata avanti nei confronti delle due inchieste della magistratura sulla morte di Pinelli, la prima del 1970 e la seconda conclusa nel 1975, entrambe inconcludenti e inaccettabili. Alla famiglia di Pino Pinelli si deve l’incriminazione per omicidio e altri reati gravissimi dei cinque agenti presenti nella stanza da cui cadde Pinelli, purtroppo poi seguita da un’assoluzione di fatto. Non per tutti, il capo dell’Ufficio Politico Antonino Allegra sarà sanzionato per aver trattenuto illegalmente Pinelli in Questura anche se per i reati commessi amnistiato. In tutti questi anni chi non ha mai dato forfait è stata la famiglia Pinelli che continua a chiedere giustizia.
Le significative, importanti riabilitazioni di Pinelli da parte dei presidenti Pertini, e poi Napolitano, hanno certamente restituito definitivamente l’onore al ferroviere anarchico, “vittima due volte”, come fu detto. In questo contesto, l’incontro delle vedove Calabresi e Pinelli, considerate entrambi vittime del terrorismo, ha avuto un ruolo positivo o solamente di maniera?
Licia Pinelli considera quella giornata al Quirinale nel 2009 un vero momento di svolta nei confronti della vittima Pinelli. Lo stesso pensano le sue due figlie. Fino a quel momento per la famiglia Pinelli c’erano state solo porte sbattute in faccia. Naturalmente tutto ciò non basta, manca a tutt’oggi un risarcimento giudiziario che non c’è mai stato.
Ci sono tuttora elementi per poter ritenere che, dopo 50 anni, sia possibile ancora arrivare ad una ricostruzione univoca, credibile e autentica di quella tragedia, dopo che il giudice D’Ambrosio fu costretto ad ammettere di essersi dovuto fermare, accontentandosi di una ipotetica parziale verità, poiché aveva tutti contro?
Gli elementi messi in luce in questo mio libro, frutto delle ricerche documentali all’Archivio centrale dello Stato dove in seguito alla Direttiva Renzi del 2014 sono stati versati dagli organi istituzionali della repubblica documenti relativi alle stragi, descrivono una realtà che la magistratura non ha indagato in merito alla morte di Pinelli. Dicono questi documenti che una ventina di alti funzionari degli Affari Riservati si precipitò a Milano subito dopo la strage di Piazza Fontana. Portando la lista degli anarchici, impadronendosi della Questura di Milano e dettando legge. I verbali che pubblico nel libro sono chiarissimi. Eppure all’epoca dei fatti nessun magistrato si è mai occupato di questi ingombranti fantasmi e dei loro capi ex repubblichini.
Intervista a cura di Dark Rider